-di SANDRO ROAZZI-
Occupazione a marzo nel segno di una stabilità che non illude. La ripresa continua e fa quel che può, il lavoro a temine cresce più di quello a tempo indeterminato (167 mila contro 143 mila) marcando la caratteristica principale dell’ultimo periodo: finiti gli incentivi ci si divide soprattutto il lavoro che c’è. Unica indicazione positiva: continua a calare l’occupazione giovanile che si attesta poco sopra però il 34% e resta comunque il principale problema cui si deve dare una risposta.
Invece si comincia ad intravedere una nuova falla nel sistema occupazionale italiano su base annua: crescono i senza lavoro fra gli ultracinquantenni, che comunque frenati nell’uscita dal lavoro verso la pensione restano la fascia di età a maggiore crescita occupazionale (+267 mila) mentre la fascia che dovrebbe essere la più attiva per definizione, fra i3 e i 49 anni accusa un calo di 116 mila unità.
Non bene va anche il lavoro autonomo che sconta l’affannato andamento del mercato interno con i consumi che al massimo registrano alti e bassi di modesta entità.
Forse però sul panorama pesa come al solito la mancanza di prospettive: dopo gli incentivi non si comprende quali sono le scelte di politica del lavoro , così come resta un mistero la modernizzazione reale del sistema di incontro fra domanda ed offerta del lavoro. Sono i due nodi che nessuno per ora sembra in grado di sciogliere.
Sarebbe inoltre interessante valutare il ruolo delle ristrutturazioni guidate dalle innovazioni tecnologiche. Se cioè la perdita di posti di lavoro occupati da robot e reti è in qualche modo compensato da nuovi lavori. E di che tipo, con quale grado di stabilità.
Intanto l’Istat rimarca le differenze di genere: la disoccupazione maschile è di circa due punti inferiore a quella femminile. Ed informa che c’è un lieve calo degli inattivi; più persone si riversano nel mercato del lavoro ma che non appare in grado di assorbirle tutte. Nel corso del primo maggio il tema lavoro ha nuovamente riempito la scena delle iniziative. Appelli, auspici, denunce. Poi però tutto sembra rientrare nei ranghi di una attenzione più dovuta che realmente capace di sparigliare il tavolo dell’economia reale.
Anzi il fatto che si regge ancora sui dati frutto degli incentivi degli anni passati e che le conseguenze negative della disoccupazione continuano ad essere ammortizzate dalle famiglie e dai vari regimi di assistenza finisce per neutralizzare la stessa richiesta di fare del lavoro la questione centrale per tutti, in politica e nel sociale. Come se tutto fosse gestibile, sopportabile, al limite quasi ininfluente nella pratica della stagione politica in atto.
Ma questa situazione che attraversa il lavoro dipendente ed indipendente contribuisce ad alimentare la protesta nei confronti di una classe dirigente che non sembra voler cambiare passo, ritrovando una capacità di proposta credibile. E sia pure indirettamente è carburante per le spinte populiste. Le proposte che circolano anche a sinistra, con le patrimoniali e le risorse strappate alla evasione fiscale, inoltre non hanno la forza di mordere come dovrebbero, proprio perché usurate nella polemica economica di anni, ma anche perché svincolate da un progetto economico di rilancio dell’intera economia.
Attendersi novità dall’economia internazionale infine non pare un atteggiamento saggio, troppe le contraddizioni in campo. Bisognerebbe fermarsi e ricaricare le batterie progettuali. Ammesso che esista ancora questa attitudine. Ed in questo caso non si va oltre l’interrogstivo, almeno per adesso.