-di LUIGI TROIANI-
Venerdì 7 aprile: 59 missili da crociera BGM-109, Tomahawk, sono sparati sull’aeroporto di al-Shayrat, a sud-est di Homs, da 2 cacciatorpediniere della US Navy schierata nel Mediterraneo orientale. Contrastanti versioni sugli effetti.
Sabato 8 aprile, il portavoce del Pentagono comunica: “Il comando del Pacifico degli Stati Uniti ha ordinato al gruppo aeronavale di portaerei Carl Vinson di mobilizzarsi come misura di prudenza per mantenere la sua disposizione e presenza nel Pacifico”. La flotta di portaerei statunitensi, cariche di F-14 Tomcat, si sposta verso la penisola coreana, nel Pacifico occidentale, in attesa della parata militare di sabato 15 aprile, vigilia di Pasqua, quando l’artificiere nucleare Kim- Jong-un, festeggerà i 105 anni dalla nascita del nonno Kim-Il-Sung, primo despota dell’esecrabile dinastia Kim.
Giovedì (santo, in coena Domini), 13 aprile: dal carrello collocato nella stiva di un MC-130 Combat Talon, viene sganciata GBU-43, detta Massive Ordnance Air Blast bomb (Moab), ma anche “Madre di tutte le bombe”, contro presunti covi Isis. L’ordigno ha circa 10 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale, è guidato da Gps, esplode istanti prima di impattare col suolo grazie a sensori, produce onde d’urto terrificanti per le centinaia dei metri sui quali impattano.
Sabato 15 aprile, vigilia di Pasqua: incollati ai notiziari, per conoscere il piatto di Pasqua che Kim e Trump potrebbero servire al mondo.
Tre considerazioni di fondo.
L’azione di Trump è del tutto coerente con il risultato delle elezioni di novembre negli Stati Uniti. Il presidente ha iniziato a realizzare il patto concluso con gli elettori. Che ciò sia nell’interesse americano e vada in direzione di un “mondo migliore”, è altra questione.
L’azione di Trump ha almeno due obiettivi: uno pedagogico (l’America guerriera è di nuovo tra di voi), l’altro strategico (mettere in gioco l’immenso potere economico e militare americano per la sicurezza nazionale e degli alleati, e per affermare il proprio primato). Ha anche un rischio: scatenare un conflitto armato nel quale russi e americani possano trovarsi uno di fronte all’altro. Sarebbe la follia che neppure la guerra fredda volle prevedere. Qualcuno passi al presidente gli scritti di George Kennan sul containment, ammesso che ci sia qualcuno, nell’inner circle presidenziale, che li abbia letti.
L’azione di Trump ha almeno tre difetti: manca di un disegno strategico (nessuno alla Casa Bianca, ad iniziare dal presidente, mostra di sapere dove tanto attivismo militare voglia andare a parare), è unilaterale (le azioni militari avvengono fuori dal quadro legale fissato dalle Nazioni Unite e non sono coordinate con gli alleati in sedi multilaterali), può spaventare i “non-nemici” come Cina e Russia, tanto per non fare nomi, generando loro reazioni e facendo saltare il banco di quel poco di “ordine” internazionale ancora in vigore.
Qualche domanda al presidente degli Stati Uniti, ma anche all’opinione pubblica non solo americana, per ciascuna delle tre azioni richiamate.
L’attacco sulla Siria è stato motivato con la grande emozione provata dal presidente Trump davanti ai corpicini dei bimbi straziati dagli ordigni chimici. I corpi martoriati dei milioni di bambini che nei paesi in sviluppo muoiono ogni anno di fame, sete, malattie innominabili, valgono di meno? I quattro bambini che, si è letto, sono stati uccisi dai Tomahawk, non commuovono? Par di capire che fossero l’accettabilissimo “effetto collaterale” di turno.
Qual è il disegno americano nel Pacifico? Washington ha abbandonato lo strumento di partenariato economico e commerciale trans-Pacifico (Tpp) creato da Obama, non ritenendolo in linea con “America First”. Ha successivamente offerto alla Cina il baratto tra accordo commerciale/monetario e mani libere verso la Corea del nord. Ma il Pacifico non è solo Cina e Usa. Alla Russia cosa “darà” Trump? E ai paesi del sud est asiatico? Ed è proprio indifferente l’attuale amministrazione rispetto al cammino verso la democrazia dei membri di Asean? Ha idea l’amministrazione Trump di cosa sia il nazionalismo asiatico, del senso di rivalsa che nazioni come Giappone e Cina coltivano nel loro profondo?
Moab (l’evocazione dei biblici moabiti, al loro modo di essere, alla loro terrificante estinzione chissà se sia davvero inconsapevole) costa 14,6 milioni di dollari. Qui nessuna domanda, perché non ci sarebbe risposta capace di soddisfare il senso di frustrazione che si prova di fronte all’evidente spreco di risorse finanziarie in bel altro modo investibili, persino nella lotta a Isis.