Pio La Torre, un esempio per lottare contro l’ineguaglianza

-di GIULIA CLARIZIA-

Questa mattina presso la biblioteca della Camera dei Deputati si è tenuto il convegno “Pio la Torre, il lavoro e il sindacato” organizzato dalle fondazioni Bruno Buozzi, Di Vittorio e Giulio Pastore.
Alla presenza di una classe del liceo Benedetto da Norcia, dopo i saluti di Enzo Campo, segretario della CGIL di Palermo, sono intervenuti il senatore Emanuele Macaluso, l’Onorevole Enzo Scotti, il professor Adolfo Pepe e il presidente della fondazione Buozzi Giorgio Benvenuto. Ha presieduto il dibattito Aldo Carera.

Nel corso della mattinata si è ricordato l’impegno del sindacalista e politico Pio La Torre nella lotta per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori.
Il contesto era quello della Sicilia del dopoguerra, una Sicilia agricola ancora dominata dal baronaggio, dai grandi latifondisti. Emanuele Macaluso ha raccontato di come i giovani siciliani credessero che anche nel Mezzogiorno, come al nord, dovesse svilupparsi una resistenza, e questa si realizzava per dare libertà, terra e lavoro ai siciliani. Tra questi giovani c’era Pio La Torre.

Figlio di un bracciante, fin dalla gioventù si dedicò alla costruzione della democrazia. Un intellettuale concreto, come lo ha definito Enzo Campo, che attraverso un rapporto diretto con le masse popolari e la presenza sul territorio ha lottato contro il malaffare degli affittuari mafiosi.

Ancora Macaluso ha ricordato la durezza dello scontro. Ancora prima della strage di Portella della Ginestra del 1947, trentasei dirigenti sindacali vennero uccisi, e la loro morte è rimasta impunita.
Eppure furono anni di vittorie alle quali La Torre, prima segretario della CGIL di Palermo, poi dal 1959 segretario regionale, poi ancora deputato per il PCI, contribuì nel concreto.

Non solo una lotta contro la mafia dunque, per la quale egli spesso viene ricordato, ma una battaglia per la democrazia a tutto tondo volta a dare dignità ai lavoratori, come ha sottolineato Giorgio Benvenuto, e non volta alla più moderna logica del “fare carriera”.

Grazie alla lungimiranza delle sue idee, La Torre comprese che il cuore della mafia era il suo patrimonio, ed era dunque ciò che bisognava colpire. La proposta di legge 416 bis che introduceva il reato di associazione mafiosa e prevedeva la confisca dei beni gli costò la vita. Macaluso ha condiviso il terribile momento in cui, il lunedì di pasqua del 1982, dopo una tragica scia di morti, La Torre gli disse: “Stiamo attenti, ora tocca a noi”. Purtroppo, poche settimane dopo egli fu vittima della guerra allo stato che la mafia portava avanti.

Enzo Scotti e Adolfo Pepe hanno problematizzato ancora di più la vicenda. La lotta iniziata da La Torre e poi portata avanti da Falcone, ha detto Scotti, ha visto quest’ultimo uscire da perdente, ostacolato dalla stessa magistratura nel diventare procuratore anti-mafia. Concorda Pepe, che riflette, e invita i giovani presenti a fare lo stesso, sul perché la storia italiana sia piena di episodi di violenza.

Benvenuto, tornando sull’importanza del credere nella battaglia per degli ideali di libertà, soprattutto dopo aver conosciuto il buio della dittatura, ha invece replicato che “perdente non è chi muore, ma chi rinuncia battersi”. La Torre, infatti, non era solo. Era parte di una generazione che aveva conosciuto la sofferenza e che credeva nella liberazione. Questa liberazione passava attraverso la libertà di lavorare, e quindi, la redistribuzione della terra. E grandi furono i risultati ottenuti in quegli anni. Oggi la disuguaglianza della società , ha concluso, non ha lo stesso volto che aveva nella Sicilia del dopoguerra, ma è comunque un problema presente e che negli ultimi anni sta peggiorando. Avere come riferimento la lotta politica e il modo di vivere il sindacato di La Torre, il suo sforzo di avere un contatto diretto con la società, può essere utile per affrontare il domani. Senza un dialogo reale, la strada del futuro condurrà ad avere non “qualcuno che governa, ma qualcuno che comanda”.

fondazione nenni

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