Da Marshall a Trump: Usa-Europa, cambia la storia

-di MAGDA LEKIASHVILI-

Ultimamente si parla molto (con un certo scetticismo) di un Europa più solidale, di un Europa più unità. Ma si parla ancora di più della guerra commerciale scatenata da Donald Trump (obiettivo primario la Cina ma non propriamente secondario il vecchio continente). E fu proprio su queste basi (e dalla necessità di consolidare un blocco contrapposto a quello comunista) che nacque la spinta alla ricostruzione dell’area europea che faceva riferimento agli Stati Uniti. Questione di solidarietà, certo, ma anche di interessi: strategici (perché il confronto geopolitico correva sull’asse est-ovest) e commerciali. Serviva un’Europa solida politicamente e anche benestante, pronta a trasferire gli aspetti più consumistici dell’American Way of life. E così per rilanciare le economie dei 17 paesi dell’Europa occidentale e meridionale uscite a pezzi dalla guerra, nacque l’European Recovery Program (Erp), meglio noto come Piano Marshall visto che fu il segretario di stato George C. Marshall a proporlo pubblicamente all’università di Harvard il 5 giugno 1947.

L’idea non spuntò per caso perché quando Marshall ne parlò poteva già contare sul sostegno del Presidente Harry Truman e di buona parte del congresso. Così, nonostante la determinata opposizione di chi temeva che quegli aiuti a paesi stranieri avrebbero potuto danneggiare l’economia degli Stati Uniti, provocando l’esaurimento delle materie prime essenziali, il Congresso (il 2 aprile) autorizzò l’avvio del programma. Il presidente Truman firmò il relativo decreto il 3 aprile 1948. Il progetto, pari a 17 miliardi di dollari e con una durata di quattro anni, comprendeva sostegni sia finanziari che materiali, come forniture di materie prime, generi alimentari, eccetera. L’aiuto inizialmente fu offerto a quasi tutti i paesi europei, ma l’Unione Sovietica si ritirò dal programma e fu presto seguita dagli stati del blocco orientale.

Il piano Marshall è stato uno dei primi pilastri del processo di integrazione europea; nuove istituzioni furono create per regolamentare il commercio internazionale. Allo stesso tempo, l’influenza americana sull’Europa crebbe notevolmente. Nell’ambito Erp, le idee e i metodi americani sono stati trasmessi attraverso programmi di assistenza tecnica e altri servizi di consulenza. Inoltre, le aziende americane si ritrovarono di fronte la strada spianata per coltivare meglio i propri affari in Europa. In pratica venne avviato un processo sociale, economico e culturale che prese il nome di “americanizzazione” (immortalato anche in famosissimi film come, ad esempio, quello di Alberto Sordi “un americano a Roma”).

I paesi europei colsero al volo il messaggio di Harvard: Gran Bretagna e Francia furono i primi ad avviare le discussioni bilaterali, facendo attenzione a non infastidire troppo l’Unione Sovietica. Londra, comunque, era meno sensibile dei francesi alla questione tanto è vero che secondo un documento pubblicato sul sito della “The George C. Marshall Foundation”, il ministro degli Esteri britannico già nel giungo ’47 aveva annunciato che l’Europa sarebbe andata avanti con su questa strada con o senza i sovietici.

Dopo un mese, Gran Bretagna e Francia convocarono la conferenza per la Cooperazione Economica Europea a Parigi. Oggetto dell’incontro: la valutazione della proposta dell’amministrazione statunitense con annessa valutazione delle condizioni economiche, con particolare riferimento ai livelli produttivi e alle esportazioni che si mantenevano su livelli piuttosto miseri. Alla conferenza venne invitata anche l’Unione Sovietica, che declinò facendo contemporaneamente pressione su Cecoslovacchia, Polonia e Ungheria che ovviamente preferirono non aderire al Piano.

Da questo incontro nacque il Comitato di Cooperazione Economica Europea (Ceec).

Nel frattempo, negli Stati Uniti sollevava preoccupazioni il fatto che gli europei potessero interpretare l’offerta americana come un programma caritatevole; i precedenti programmi di sostegno si erano rivelati ampiamente fallimentari. Il dipartimento di stato americano così stabilì alcune condizioni per i membri della Ceec:

  • impegni precisi relativamente alla realizzazione di importanti programmi di produzione;

  • misure immediate per garantire la stabilità monetaria e finanziaria all’interno dell’Europa;

  • riduzione delle barriere commerciali;

  • riconoscimento formale di obiettivi comuni;

  • creazione di un’organizzazione internazionale per coordinare il programma.

Nacque su queste basi l’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea – Oece (1), un’agenzia permanente incaricata del coordinamento del programma in Europa.

Il piano riuscì a realizzare molti dei suoi obiettivi. D’altro canto se l’Europa riuscì ad uscire in tempi relativamente brevi dalla crisi post-bellica il merito fu in buona parte del piano Marshall. Ma non fu uno scambio diseguale perché anche chi sosteneva lo sforzo finanziario (cioè gli Stati Uniti) ottenne un beneficio (non solo militare e strategico): molti dei postulati economici americani attraversarono l’Atlantico e diventarono punti di riferimento per un ampio pezzo di sistema-mondo (soprattutto per la percentuale di Pil mondiale prodotto).

Il Piano Marshall conteneva anche l’ambizione a lungo termine di integrare l’economia europea in un’unica area di libero scambio. All’obbiettivo dell’integrazione europea si presentavano alcuni ostacoli, innanzitutto la volontà degli stati di non cedere parte della propria sovranità economica ad un organismo internazionale. Comunque, il Piano Marshall riuscì a creare una situazione che avvicinò l’obiettivo del mercato comune (cosa che si avvererà negli anni successivi).

Il contributo del Piano Marshall al consolidamento dei rapporti continentali è stato da più parti pubblicamente riconosciuto. E per aver dimostrato come la interdipendenza può migliorare le relazioni tra i vari stati, George Marshall ricevette il premio Nobel per la pace nel 1953.

Ma questa oggi appare decisamente un’altra storia. La presidenza di Donald Trump sembra aver cambiato rotta. Al G7 che si svolgerà in Italia, il presidente si presenterà dopo aver firmato i decreti con i quali intente innalzare qualche steccato a protezione dell’economia americana. Siamo in pieno clima di guerra commerciale e la logica dell’integrazione che era alla base del Piano Marshall oggi viene ribaltata sull’altare di caotiche e retoriche forme di sovranismo che in realtà non sembrano in grado di poter correggere le logiche di una globalizzazione dagli effetti spietati, che ha arricchito i più ricchi e impoverito anche chi povero non era. E, d’altro canto, si fatica a pensare che il governo più abbiente della storia americana (dal punto di vista dei redditi dei suoi membri) possa pensare di difendere gli interessi di chi dalla crisi è stato danneggiato. Perché poi le parole sono una cosa, i fatti un’altra.

(1) Organisation for European Economic Co-operation – Oeec fu un’organizzazione internazionale attiva dal 1948 (16 aprile) al 1961, istituita proprio per controllare la distribuzione degli aiuti statunitensi del Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa dopo la seconda guerra mondiale e favorire la cooperazione fra i paesi membri. Nel ’61 si riorganizzò e si trasformò nell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Osce).

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