Quel terribile 27 marzo quando uccisero Tarantelli

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Un uomo di 43 anni che usciva dalla sua casa romana la mattina del 27 marzo 1985 senza sapere che non vi avrebbe più fatto ritorno. Un professore di economia all’Università di Roma che finita la lezione sale in macchina per tornare da sua moglie e da suo figlio, allora tredicenne. All’uscita dell’Università, salito in auto, gli si avvicina un uomo, che si scoprì essere poi Antonio Fosso; gli chiede: “Lei è Ezio Tarantelli?”. Un cenno di assenso con la testa e gli vengono scaricati addosso diciassette proiettili di una “Skorpion”. Diciassette proiettili firmati dalle Brigate Rosse. Sul tergicristallo settanta pagine dove si spiega che “il salario si difende con il fucile”.

Perché la colpa dell’economista, che viene ucciso dopo una lezione e dopo una serata trascorsa insieme a Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto a scrivere un appello rivolto sia alle forze politiche impegnate a trovare una soluzione per evitare il referendum, sia agli elettori per votare contro la cancellazione del decreto di San Valentino (il taglio di 4 punti poi diventati tre, di scala mobile) era stata quella di voler raffreddare l’inflazione mettendo sotto controllo una contingenza che da un lato garantiva aumenti periodici del salario ma dall’altro anche un drenaggio fiscale che alla fine azzerava i benefici. Nel suo disegno (aveva cominciato a meditarci su da almeno tre anni) il fine ultimo era quello di mettere nelle mani del sindacato (non a caso era uno dei consiglieri più ascoltati dell’allora segretario della Cisl, Pierre Carniti) uno strumento per condizionare la politica economica del governo. Un progetto che avrebbe consentito alle organizzazioni dei lavoratori di concordare interventi fiscali con il ministro Brtuno Visentini, di ottenere canoni d’affitto più equi, un meccanismo di controllo dei prezzi, insomma di incidere sull’orizzonte più vasto delle fonti di spesa familiari ottenendo i medesimi benefici della scala mobile senza una soluzione automatica che, peraltro, determinava un pericoloso “effetto-appiattimento” dei salari.

Erano gli inizi degli anni Ottanta, fase di grande inflazione (proprio nel 1980 era stato sfiorato il picco del 22 per cento). La soluzione di Tarantelli era semplice, l’uovo di Colombo si sarebbe potuto dire: inflazione programmata e predeterminazione degli scatti. Si poneva un tetto oltre il quale l’aumento del costo della vita non sarebbe potuto andare; si stabiliva conseguentemente di quanti gradini sarebbe “salita” la scala mobile.

Ezio Tarantelli era un consulente della Cgil. “Collaborava con Pierre Carniti, aveva ottimi rapporti con Walter Galbusera e Giorgio Benvenuto, votava comunista pur non condividendo tutte le posizioni di quel partito. Era perfettamente dentro quella Cisl fatta, in buona parte, di “cani sciolti” alla Carniti, gente che immaginava che dal sociale potesse nascere una sinistra di governo, senza compromessi, senza cedimenti ai “poteri forti”. Una sinistra che sapesse parlare di compatibilità e di politica dei redditi, di equità ma anche di profitto, di tutele per i più deboli ma anche di innovazione tecnologica, di orari di lavoro inseriti in una riorganizzazione strutturale. Alla questione della scala mobile aveva offerto una soluzione, quella poi adottata da Craxi (che il giorno dell’agguato mortale disse: «Uno degli economisti più aperti alla sfera del possibile, tra i meno faziosi. Dobbiamo purtroppo constatare che proprio questa sua scienza, questa sua intelligenza, questa sua generosità ne hanno segnato la condanna a morte»): la predeterminazione. E l’atteggiamento della Cgil lo aveva disorientato: «Il punto è che la Cgil ha difficoltà ad accettare non la centralizzazione della contrattazione, che dovrebbe essere normale per un sindacato marxista, ma la categoria dello scambio politico, almeno fino a quando, purtroppo a mio avviso, il Pci è all’opposizione. Ma questo è un errore fatale che toglie alla sinistra qualsiasi possibilità di intervenire per la trasformazione sociale del paese».” Le parole di Giorgio Benvenuto e Antonio Maglie nel libro “Il divorzio di San Valentino. Così la scala mobile divise l’Italia”.

Un sognatore. Un uomo coraggioso. Convinto di poter cambiare l’Italia. Ucciso da un sogno. Così come racconta il figlio Luca nel libro “Il sogno che uccise mio padre. Storia di Ezio Tarantelli che voleva lavoro per tutti”. Luca racconta di un uomo sorridente, ottimista. Un ricercatore di Econometria nelle due Cambridge, un marito innamorato della sua bella moglie, con un’automobile lurida e scassata, un papà amorevole, che sgonfia gradualmente i braccioli del figlio piccolo per insegnargli a nuotare. Racconta anche i difetti dell’uomo pubblico. Un impolitico, anche molto ingenuo. Un uomo che odiava il silenzio e che sentiva il dovere di scrivere sui giornali, soprattutto di quei temi che gli sono costati la vita , perché “la gente ha bisogno di capire”.

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