La battaglia di Renzi dietro il referendum il 28 maggio?

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-di ANTONIO MAGLIE-

Il governo ha deciso che il referendum sui voucher e sulla responsabilità solidale negli appalti si svolgerà il 28 maggio. In pratica, all’interno della finestra (15 aprile, 15 giugno) prevista per le prossime amministrative che, comunque, coinvolgeranno una porzione molto limitata dell’elettorato italiano (Genova, Padova, Palermo, Parma, Taranto e Verona). Susanna Camusso, segretaria della Cgil che ha promosso la consultazione (la sessantottesima abrogativa dall’istituzione del referendum, la settantatreesima complessivamente) propone di unificare le date. Il problema è, come tutti sappiamo, il quorum ma gli elettori coinvolti nel rinnovo delle amministrazioni non sono tanti da poter spostare in maniera evidente l’asticella da cui dipende la validità dell’esame referendario (come è noto è necessario che vada a votare la metà più uno del corpo elettorale).

Al di là del quorum, resta la rilevanza sociale del tema e un governo con un’anima di sinistra (quella evocata da Renzi al Lingotto, ovviamente senza cantare Bandiera Rossa e salutare a pugno chiuso altrimenti gli viene l’orticaria) dovrebbe avvertire l’esigenza di coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini nella consultazione, dovrebbe avvertire il bisogno di tastare il polso al Paese perché su questo tema è anche in discussione la coesione sociale, il futuro dei giovani, l’idea di un lavoro che non deve significare sfruttamento, aggiramento delle norme per abbassare i diritti o uso capzioso delle opportunità offerte dalla legislazione per coprire precedenti comportamenti illegali.

E poi far coincidere gli appuntamenti può essere uno stimolo per una classe dirigente pigra e piuttosto lontana dai problemi delle persone, sopportata più che supportata; può essere un’occasione per vedere sino a che punto la creatività legislativa può spingersi per evitare il ricorso alle urne; può convincere tutte le parti in gioco a chiarire le proprie posizioni, dal governo alle forze politiche ai sindacati. Al momento c’è la Cgil che attraverso la Camusso ha detto chiaro e tondo che la sua organizzazione è disposta ad accettare i voucher a patto che servano a remunerare il lavoro domestico (solo le famiglie sarebbero abilitate a usarli) e le prestazioni occasionali di disoccupati di lunga data, studenti e pensionati. E gli altri? Gentiloni che al momento si è guardato bene dal fornire segni visibili di discontinuità rispetto al governo che lo ha preceduto, ha ora l’occasione per fare qualcosa che Renzi non volle fare all’epoca delle trivelle. In più risparmiando anche qualche spicciolo, cosa che non fa mai male, soprattutto con l’Unione Europea che bussa sempre più insistentemente a quattrini.

Una cosa è certa: la convocazione del referendum ha messo le ali alle procedure per la definizione di un nuovo provvedimento sui voucher. Esiste già un testo messo a punto dal comitato ristretto della commissione lavoro e che giovedì verrà emendato e varato. A quel punto l’esecutivo presieduto da Gentiloni e certo non insensibile alle indicazioni che arrivano da Renzi, potrebbe anche farlo proprio con le dovute correzioni. Soprattutto se corrispondono al vero le indiscrezioni che dicono che l’ex capo del governo, preoccupato per la celebrazione di una consultazione che potrebbe avere i medesimi esiti di quella del 4 dicembre (con inevitabili conseguenze fortemente negative sulle sue ambizioni di ritorno al vertice non del Pd ma del paese intero), spinge per una soluzione drastica (quasi una cancellazione), contemporaneamente difendendo il Jobs act ma considerando quella misura estranea alla “riforma” del lavoro e della cui paternità accusa proprio gli scissionisti.

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