I meno giovani lo ricordano ancora: il “Piano Pieraccini”, estremo tentativo per rianimare quella programmazione che negli anni del centro-sinistra doveva rappresentare l’elemento caratterizzante, genetico della politica riformatrice del Psi al governo e che la Democrazia Cristiana si preoccupò di annacquare, trovando in qualche maniera una sponda nel Pci (lo stesso Statuto dei lavoratori vide i comunisti astenersi). Era l’ultima speranza, si trasformò nell’ultima illusione. Il suo autore, l’allora ministro del bilancio, Giovanni Pieraccini, deluso, si allontanò progressivamente della politica, sino al “divorzio” finale in polemica aperta con la politica berlingueriana del compromesso storico. Giovanni Pieraccini ha deciso di raccontare quell’esperienza, quegli anni di grandi passioni, attese, realizzazioni ma anche amarezze. Insieme a Stefano Rolando ha sintetizzato tutto nel volume dall’emblematico titolo: “L’insufficienza riformatrice. Abbiamo fatto, ma avremmo dovuto fare di più”. Lunedì il libro verrà presentato presso il Senato nella sala degli Atti parlamentari (piazza della Minerva) alle ore 17. Ne discuteranno Vittorio Emiliani, Luigi Covatta, Guido Melis e Monique Veaute”.
Il piano a cui è legato il nome di Pieraccini avrebbe dovuto ispirare e organizzare la programmazione economica del paese dal 1965 al 1969. Il disegno di legge sul “programma di sviluppo economico per il quinquennio” in questione ebbe un iter complicato e, inevitabilmente ritardato, tanto è vero che alla sua approvazione si giunse solo nel ’67 cioè a metà del percorso temporale inizialmente previsto. Ma oggi, in una fase in cui vari tipi di riformismi vengono sbandierati a destra e a manca, discutere sull’insufficienza riformatrice di un periodo che qualcosa comunque al Paese ha lasciato, può essere utile. E chissà anche fonte di ispirazione per una classe politica che il futuro preferisce evocarlo (e poi subirlo) piuttosto che programmarlo