Europa, il nodo (scorsoio?) degli ex paesi dell’Est

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Beata Szydlo ha svelato uno dei grandi punti deboli del processo di integrazione europeo. Colti da manie di grandezza, fu deciso di allargare il disegno europeo oltre i confini iniziali, sfruttando anche la caduta del muro di Berlino e la disintegrazione dell’Unione Sovietica. La realtà è che dietro le scelte dei paesi un tempo oltre Cortina non c’era una politica e un’opinione pubblica unanimemente e convintamente europeista. A spingerli verso l’Unione (e la Nato) era la necessità di trovare un “ombrello” sotto cui ripararsi dai temporali che sarebbero stati scatenati dal potente “vicino” russo. Era una scelta difensiva non evolutiva. Ora la premier polacca al vertice europeo si mette di traverso perché non le hanno consentito di “silurare” Donald Tusk dalla presidenza del consiglio. Evidente che la questione non ha nulla a che vedere con la necessità di rianimare una costruzione in stato comatoso. Ma non è che gli altri paesi (il “blocco” di Visegrad) provenienti dall’ex impero sovietico abbiano in questi anni abbiano contribuito a migliorare i rapporti più della Szydlo. Al contrario, li hanno peggiorati tirandosi fuori dalla gestione della questione migratoria e costruendo muri (e una democrazia a caratteri fortemente autoritari e, quindi, pericolosa) come ha fatto Orbàn. La realtà è che questo nodo andrebbe sciolto prima che si trasformi per tutti in un cappio.

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