-di VALENTINA BOMBARDIERI-
“L’Articolo 1” è il nome della nostra rivista, campeggia in testata come una sorta di “programma” ideale. “Un nome ambizioso in un periodo in cui il lavoro manca”. Dice il vicepresidente della Fondazione Pietro Nenni, Carlo Fiordaliso ricordando come di troppa precarietà si può morire, come è stato tragicamente confermato da Michele che nella sua ultima lettera ha scritto: “Ho vissuto (male) per trent’anni”. La sala Bruno Buozzi ricorda il passato del sindacato e il riferimento storico-ideologico della Uil. Oggi ha ospitato la presentazione della rivista della Fondazione. O forse sarebbe meglio dire, l’inaugurazione di una nuova fase della sua vita perché, perché “L’Articolo 1” è nata un paio di anni fa. Una fase di sperimentazione con la pubblicazione solo sul web e, adesso, il suo passaggio su carta, la periodizzazione delle uscite (bimestrale), la diffusione in libreria. D’altro canto, essendo uno strumento di approfondimento non poteva fare a meno di questa metamorfosi, del passaggio in un “formato” antico ma allo stesso tempo lontano dall’eccessiva velocità del web.
Una sfida, in qualche maniera. Lo ha sottolineato il presidente della Fondazione Giuseppe Di Vittorio, Carlo Ghezzi: “Questa è la presentazione di una bella rivista che si propone l’approfondimento, perciò in qualche misura controcorrente”. Ma Ghezzi ha anche sottolineato il riferimento intrinseco nel nome della testata ai valori del lavoro e della democrazia e alla necessità per la sinistra e per il sindacato di difendere questi valori con metodi rinnovati. Raffaele Morese, presidente dell’Associazione Koinè, è partito dal titolo di copertina di questo numero (“Democrazia al bivio”) per compiere un’analisi della complessità della situazione. In particolare, la proliferazione delle “rabbie” che stanno cambiando il nostro orizzonte perché oggi lo schema del conflitto tra ricchi e poveri non regge più perché sono arrabbiati anche i ricchi i quali manifestano questa insoddisfazione con uno sciopero molto particolare: l’astensione dal pagamento dei tributi, lo spostamento dei propri capitali nei paradisi fiscali. Evocare la crescita rallegrandosi per il fatto che le previsioni siano cresciute di un decimale, non può confortarci perché con questi numeri la disoccupazione resterà sempre quella che è, cioè altissima. Questo significa che bisogna attivare politiche del lavoro in grado di creare posti al di là dei decimali perché se rimaniamo all’aumento del Pil allora, come dicono gli economisti, dovremo confidare in una incremento per un periodo lungo del 2,5-3 per cento. Ma non sembra essere questa la prospettiva. Certo, sottolinea Morese, si possono anche adottare iniziative che droghino per qualche tempo la situazione occupazionale ma poi esaurito l’effetto della droga, si tornerebbe alla situazione iniziale. Fare i conti con questo mondo di rabbie significa fare una scelta tra quelle rappresentabili e quelle non rappresentabili. In questo quadro fatto di equilibri in via di ridefinizione diventa sempre più urgente decidere se schierarsi nel fronte degli europeisti o degli anti-europeisti.
Cesare Salvi, membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Nenni, considera la rivista un piccolo faro in un mare caratterizzato dall’assenza di dibattito. Salvi ha ricordato i tempi in cui strumenti come questi erano particolarmente diffusi, vi era addirittura sovrabbondanza. Ma ora il dibattito appare asfittico. L’ex ministro del lavoro, prendendo spunto dall’attualità fornita dalla direzione del Pd, ha sottolineato come anche un lettore attento (figuriamoci uno che si limita alla lettura dei titoli e dei sommari) fatichi a capire perché mai nel partito di maggioranza, principale “socio” di governo, si parli tanto di scissione: per la data del congresso? Per le modalità del congresso? Ma resta fuori da questo confronto un dato essenziale: la politica, le scelte, l’idea di società che si vuole proporre al Paese. Qualcosa che all’estero, invece, stanno provando a fare: Benoit Hamon che ha sbaragliato Manuel Valls alle primarie socialista parlando del reddito universale, lo stesso Martin Shulz che in Germania sembra proporre una nuova immagine, più attenta al sociale, della Spd. Per non parlare di Bernie Sanders. Quello di Salvi è un invito alla riflessione e all’analisi, non alle valutazioni superficiali perché nulla accade all’improvviso. Negli Usa, ad esempio, senza Trump i repubblicani negli anni di Obama sono riusciti a conquistare la maggioranza al Congresso e al Senato e la stragrande maggioranza degli stati. Pur concordando con Morese sull’analisi delle “rabbie”, l’ex ministro del lavoro pone una domanda partendo da una premessa: “Per me l’uscita dall’Europa sarebbe una tragedia ma dobbiamo interrogarci su quale Europa vogliamo”. La vittoria di Trump, la Brexit e il Referendum del 4 dicembre sono spie di un mondo che sta cambiando. Ma questo cambiamento deve indurci a riportare democrazia e lavoro al centro del dibattito politico ed è questo che, nel proprio piccolo, la rivista proverà a fare.
Antonio Maglie, il direttore della rivista ha concluso il dibattito sottolineato che “L’Articolo 1” vuole essere un punto di incontro per idee diverse in un mondo che è dominato dal pensiero unico. Una rivista aperta che, però, sarà tutt’altro che asettica perché sarà piantata con tutti e due i piedi nel campo progressista, nel campo della sinistra. Un campo il cui perimetro va definito e a questa definizione “L’Articolo 1” vuol contribuire. Semmai partendo dalle parole di Norberto Bobbio che subito dopo la caduta del Muro di Berlino aveva affermato: “Abbiamo sconfitto il socialismo illiberale, ora dobbiamo battere il liberalismo asociale”. Ed è esattamente questa la situazione da cui partiamo, in un mondo certo pieno di rabbie ma anche di diseguaglianze. La rivista proverà a dibattere i temi complessi che caratterizzano la nostra esistenza senza demagogia, retorica o atteggiamenti propagandistici.