-di VALENTINA BOMBARDIERI-
“Oggi vi racconto l’inferno: non quello che vi ha raccontato Dante, né quello delle religioni. Io all’inferno ci sono stato e sono qui per raccontarvelo. L’inferno che ho vissuto io si chiama Auschwitz-Birkenau”. Le parole di Piero Terracina, classe 1928, sopravvissuto all’inferno di Auschwitz.
Un testimone per l’importanza di non dimenticare. Lei è sopravvissuto all’inferno di Auschwitz. Come cominciò quell’incubo?
Posso dire che il cammino verso l’inferno di Auschwitz non è iniziato la sera del 7 aprile del 1944 quando le SS tedesche, accompagnate fin sull’uscio della casa dove eravamo rifugiati da due fascisti italiani, ma cinque anni prima e precisamente il 5 settembre 1938 quando il Gran Consiglio del Fascismo emanò il primo Regio decreto legge denominato “la difesa della razza nella scuola fascista” e fui cacciato dalla scuola pubblica che avevo frequentato dalla prima elementare. Non solo gli studenti ma anche tutti gli insegnanti e i docenti universitari e tra gli altri quattro futuri premi Nobel: Emilio Segrè, Salvador Luria, Franco Modigliani e Rita Levi Montalcini. Anche Albert Einstein fu estromesso dall’Accademia dei Lincei di cui era membro. Seguirono poi un’infinità di altri provvedimenti vessatori e persecutori che facevano degli ebrei cittadini senza nessun diritto.
Lei era molto giovane. Come è stata quell’esperienza vista dagli occhi di un bambino?
L’esperienza fu traumatica perché ero stato educato all’amore per lo studio e pensavo che non avrei più potuto frequentare la scuola. Invece andai a frequentare la quinta elementare alla scuola ebraica che esisteva e l’anno successivo andai alle medie che erano state organizzate prontamente. Uno degli organizzatori fu il grande matematico Guido Pontecorvo. Frequentare la scuola ebraica fu però anche la mia fortuna perché quando tornai dall’inferno di Auschwitz ero rimasto solo ed ero disperato, fui accolto e protetto dai miei nuovi compagni della scuola ebraica e dalle loro famiglie e mi fu offerto un lavoro che mi dette da subito la possibilità di mantenermi.
Lei perse tutta la sua famiglia nel campo di concentramento. Qual è l’ultimo ricordo della sua infanzia?
Credo che la mia infanzia sia finita proprio quel giorno che dovetti abbandonare la scuola pubblica. In famiglia molte cose cambiarono in peggio perché mio padre proprio a causa delle leggi razziali (la parola più adatta sarebbe “razziste”) perse il suo lavoro e iniziarono le difficoltà economiche – anche un bambino se ne accorge – poi superate in parte per il fatto che mia sorella e i miei fratelli che erano più grandi di me, abbandonarono gli studi per iniziare a lavorare.
Si sarà chiesto molte volte perché si è salvato. È riuscito a darsi una risposta ?
Il fatto che sono uscito vivo dall’inferno lo devo soltanto al caso. Non al destino perché la parola “destino” presuppone un intervento divino. Non sarebbe stato giusto. Tanti avrebbero meritato molto più di me di continuare a vivere.
È in prima linea da molti anni per raccontare la sua storia e tramandare la memoria. Memoria che, come dice lei, è diversa dal ricordo.
Ho sempre pensato che il ricordo si esaurisce con la fine della persona che ricorda quello che ha vissuto. La Memoria invece viene tramandata al futuro anche il più lontano attraverso le generazioni. Conoscere il passato, quel passato, è importante per fare in modo che quel passato non torni. Oggi malgrado esista chi nega lo sterminio, non temo per noi di religione ebraica. Ma ci sono altre minoranze a rischio e mi riferisco in primo luogo a Rom e Sinti che sono ancora trattati come “razza inferiore” anziché aiutarli ad emanciparsi. Mi riferisco ai disperati che arrivano tra noi per sottrarsi alle guerre, agli stermini, alle malattie, alla fame. Quelli che ne hanno diritto per i motivi che ho detto, dovremmo accoglierli ed inserirli nella nostra società. Non posso dimenticare quando nel dopoguerra, nel nostro Paese partivano ogni giorno tanti treni dal sud verso le regioni del nord ed anche verso il nord Europa. Dovremmo ricordare che è stato attraverso il loro lavoro e il loro impegno se quelle regioni hanno prosperato.
C’è anche chi nega l’Olocausto.
Chi nega la Shoah mente sapendo di mentire. (Preferisco usare la parola Shoah alla parola “olocausto”. Shoah significa catastrofe, come fu. Olocausto ha qualcosa di religioso, prima, nella preistoria col sacrificio umano alla divinità e poi con quello animale). Dovrebbero dirmi dove è finita la mia famiglia: fummo deportati in otto e sono tornato solo. Sono persone quelle che negano che se fossero vissute allora sarebbero state dalla parte dei carnefici se non carnefici essi stessi.
Lei è molto presente nelle scuole. Cosa si sente di dire alle nuove generazioni?
Ai giovani dico sempre di seguire i valori della civiltà che sono: la libertà in primo luogo. Il contrario della parola libertà è servitù o peggio schiavitù. E poi tutti gli altri valori: la democrazia, la solidarietà, l’amicizia, l’amore. Dico di non dare mai retta ai falsi idoli, ai nuovi duci che ogni tanto si presentano come “salvatori della patria”. Non esiste l’uomo della provvidenza. Le difficoltà si possono superare soltanto con l’aiuto di tutti nella libertà.
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