Salviamo la democrazia combattendo la miseria

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-di Raffaele Tedesco-

Il Movimento Cinque Stelle appare, ormai da tempo, un eterno cantiere in working progress. Forse, il “working” predomina sul “progress”, perché non si vedono all’orizzonte cambiamenti tali da poter rendere il “movimento” un qualcosa che abbia davvero a che fare con la democrazia. Nonché, con tutti quegli “arnesi” che la completano e inverano; come, per esempio, la libertà interna, la partecipazione e la possibilità di dissenso.

I problemi giudiziari che hanno colpito gli amministratori targati Grillo, hanno solo reso ancora attuale l’ammonimento di Nenni, secondo il quale bisognava fare attenzione, perché, in fondo, “c’è sempre uno più puro di te che ti epura”.

Il “dietro front” di Grillo sul problema di possibili indagati, rispetto alle sue iniziali posizioni sul tema, non solo mette in rilievo gli errori che cozzano con ogni sana logica garantista, ma rimarca il vuoto di idee, e passaggi democratici, che non sembrano essere mai stati il primo problema del movimento.

Paradossalmente, il Movimento Cinque Stelle voleva ristabilire, o sanare, la democrazia in Italia, però senza praticarla al suo interno.

Se è pur vero che quella degli altri partiti si è spesso rivelata una democrazia solo “formale”, in cui operanti erano, in effetti, logiche partitocratiche più che democratiche, ciò non vuol dire che il principio sia “insano”. Anzi.

Appare complesso far rientrare il partito, scusate, movimento di Grillo nel novero dell’art. 49 della Costituzione, secondo cui “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. E’ quel “metodo democratico” che appare concetto sfumato e sfocato. Inverato, secondo qualcuno, dalla potenza del sacro blog. Il quale, in fin dei conti, è sembrato cedere il passo anche davanti al centralismo democratico di stampo comunista. Che non amava correnti, spifferi e minimi refoli di vento.

E’ vero che il M5S è frutto di un disagio delle persone. E, i disagi, hanno messo sempre a dura prova le democrazie che non riuscivano più ad essere inclusive.

“A pancia piena si ragiona meglio”, diceva qualcuno. Discorso, forse, semplicistico, ma che rende l’idea di come sia facile per la gente “votarsi” anche ad un movimento non propriamente liberale pur di veder rappresentate le loro istanze, e risolti (ipoteticamente) i loro bisogni. Senza affatto sottacere della “correità” degli altri partiti, incapaci di creare tanto del benessere, quanto alternative ritenute valide, oltre le belle parole.

In tutte le epoche della nostra Repubblica, in modi e forme diverse, e per motivi disparati, si sono avuti movimenti critici verso i partiti “tradizionali” o di governo.

Ovviamente, ci sonno modi e modi di affrontare i problemi, ed è questo che, in fondo, qualifica l’azione politica di un soggetto; persona o partito che sia.

Nel 1951, Ernesto Rossi, di certo non un uomo in odore di bolscevismo e ne di populismo, pubblicò sul “Mondo” un articolo dal titolo “Abolire la miseria”.

Rossi scriveva:” La lotta contro la miseria è un particolare aspetto della lotta per la giustizia sociale […]. Bisogna combattere la miseria per le medesime ragioni che ci hanno portato a combattere il vaiolo, la tubercolosi, la peste. La miseria è una malattia infettiva, in quanto […] chi ne è colpito contagia col suo modo di vivere le persone con cui è in più immediato rapporto […]. D’altra parte il suffragio universale si trasforma in un’arma micidiale per la stessa democrazia nei paesi in cui la miseria impedisce a gran parte della popolazione di acquisire coscienza dei propri doveri verso la collettività, e la rende facile preda dei demagoghi […]. La spesa per garantire a tutti i cittadini un minimo di vita civile, va considerata anche come un premio di assicurazione verso le crisi rivoluzionarie e le dittature totalitarie”.

È uno dei motivi per cui in nell’Europa Occidentale del Dopo Guerra abbiamo avuto uno sviluppo impetuoso del welfare state. Il quale mirava alla redistribuzione della ricchezza, in modo da rendere la società più equa e meno aggredibile dai populismi che marciano sulle sventure delle persone.

Ma Rossi non diceva che i partiti, in sé, erano il problema. Anzi! E pur se di idee liberali anche in economia, non ha mai ritenuto che la decisione politica dovesse cedere il passo sempre allo “spontaneismo” economico. Sognava il federalismo europeo. E non temeva di dire che “le crisi economiche hanno conseguenze particolarmente penose nel regime capitalistico, per il fatto che colpiscono in modo sperequatissimo i diversi membri della collettività, e per il fatto che la gravità del danno non corrisponde alla diversa responsabilità degli interessati. E’ evidente che se i danni fossero ripartiti in modo più uguale, potrebbero essere sopportati molto più agevolmente senza produrre i disastri che in effetti producono”.

E’ un problema politico, a cui si deve dare risposta. I tempi sono cambiati, certo, ma le problematiche sembrano ripetersi sempre alla stessa maniera.

E Grillo non è la soluzione. Soprattutto, finché non avrà risolto il “rebus” sul “metodo democratico”.

fondazione nenni

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