-di LUIGI TROIANI-
Due notizie hanno chiamato nuova attenzione sul paese chiave di ogni assetto mediorientale, l’Egitto. Isis ha rivendicato l’attentato alla chiesa copta di Alessandria; le tracce di esplosivo rinvenute sui cadaveri del volo Egypt Air MS804 caduto il 19 maggio evocano il terrorismo.
Le notizie confermano quanto l’Egitto sia rilevante nella strategia distruttiva dell’insorgenza islamista. Dicono anche che il paese del canale non riesca a difendersi, nonostante la cintura di protezione che le forze armate hanno alzato tre anni fa, cacciando i Fratelli Musulmani.
Non aiuta la situazione il quadro socio-economico, strutturalmente in sofferenza anche per i privilegi del ceto militare padrone di circa la metà dell’economia, e per l’inefficiente elefantiasi della pubblica amministrazione. Si aggiungano fattori congiunturali come il calo del costo del petrolio che spinge le navi al periplo dell’Africa allontanandole dagli esosi canoni di Suez, il ristagno delle rimesse di emigrati che terrorismo e assenza di crescita risospingono verso casa, lo stallo del turismo minacciato dagli attentati.
In queste condizioni, la stabilizzazione, come tendono a confermare le notizie in arrivo, non è a portata di mano. Comprensibile che cristiani copti cattolici e ortodossi, nello scontro cruento con l’integralismo islamico, abbiano appoggiato al Sisi, che ora ricambia dichiarando il lutto nazionale per gli ammazzati di Alessandria. Bisogna però fare un passo avanti, visto che con 60.000 esponenti dell’opposizione in galera (anche sindacalisti e attivisti laici per i diritti umani, vedasi il caso Regeni), l’insurrezione guidata dall’islam estremo può essere un rischio, benché non ravvicinato. Occorre immettere nel tessuto sociale giustizia ed equità, facendo arretrare il privilegio della casta militare, dando spazio alla società civile.
E’ l’unico modo per tagliare erba sotto i piedi dell’estremismo islamista, che altrimenti continuerà a fare proseliti in una società indifesa, dove un quarto degli adulti è analfabeta e un terzo ha meno di 14 anni (l’età mediana è 25,3 anni), dove il 28% della popolazione (20 milioni) è in povertà strutturale, non riuscendo neppure a mangiare visto che metà del cibo consumato in Egitto è importato e costa un’enormità per i locali (l’inflazione a due cifre svaluta il pound egizio negli acquisti internazionali). Bloomberg ha denunciato che mentre i generali hanno ricevuto decine di miliardi in aiuti, il tasso di disoccupazione resta alto (13%, e i giovani sono a più del doppio), il deficit commerciale è andato al 7% del prodotto interno lordo, il deficit di bilancio al 12% del Pil.
A conferma di come la povertà non receda, i dati sulla crescita dei consumi privati, mentre nel 2014 segnavano +4,1%, hanno rilevato +2,8% nel 2015 e +2,1% quest’anno, prevedendo +2,4% nel 2017: per un pvs con inflazione sopra il 15%, suonano bassi.