Walesa, l’operaio che 26 anni fa divenne presidente

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-di MAURO MILANO-

“L’ex operaio elettricista è stato eletto capo dello Stato”. 9 dicembre 1990: Lech Wałęsa diventava il primo presidente democratico della Polonia. Otteneva il 74,25% dei voti al ballottaggio, contro Stanisław “Stan” Tymiński, un imprenditore e “self made man”, sfacciato e aggressivo. Erano le prime elezioni davvero libere della Storia polacca. Sembrava l’inizio di una nuova èra per il paese, guardata con speranza, dopo una storia molto travagliata.

Tutto cominciò a Danzica, come nella Seconda Guerra Mondiale. Nell’estate del 1980 un grande sciopero, dai cantieri navali della città baltica, si diffuse presto in tutto il paese. Dopo diversi giorni il governo comunista di Varsavia firmò gli accordi col sindacato. Solidarność (solidarietà) era la prima organizzazione di lavoratori, cattolica e democratica, riconosciuta in un paese oltre la “cortina di ferro”, una novità assoluta, una cosa che sembrava impossibile in quel momento. L’appoggio dell’opinione pubblica internazionale fu immediato, e l’Italia fu da subito il paese più vicino alla Polonia e a Solidarność. Il mito si diffondeva, l’organizzazione, Wałęsa, capo del comitato dello sciopero, era già un paladino nella conquista dei diritti e delle libertà sindacali. Una situazione nuova, diversa, una lotta pacifica per le conquiste, in un sistema economico e sociale che non era quello occidentale. La Federazione CGIL-CISL-UIL mandò una prima delegazione già durante gli scioperi, che fu bloccata dalle autorità polacche. Poi si recò in Polonia una nuova, autonoma della UIL, nel novembre dell’80. Ci fu il congresso di Solidarność , Wałęsa venne in visita a Roma. Cercava l’aiuto dei sindacati italiani e europei. Ma poteva contare anche su un altro importante alleato. Da due anni un polacco sedeva sul soglio pontificio, e il cattolicesimo è sempre stato parte integrante dell’identità del paese. Il sostegno di Papa Giovanni Paolo II a Solidarność e a Wałęsa fu fondamentale. Lo stesso ex presidente ha rivelato che il Vaticano, attraverso vescovi, preti e altre organizzazioni religiose, finanziò il suo sindacato, sorvegliatissimo. Alcune piste su questi finanziamenti conducono allo IOR e alla controversa figura del vescovo Paul Marcinkus.

Il fermento in Polonia intanto era grande, era stato colpito il punto forte della propaganda comunista, e il punto debole della realtà di Varsavia. Allora il governo decise di intervenire, prima che Mosca replicasse quello che aveva fatto in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. Il generale Wojciech Jaruzelski, Capo dello Stato, proclamò la legge marziale il 13 dicembre del 1981. Misure di guerra in tutto il paese: coprifuoco, chiusura degli aeroporti, blocco delle linee telefoniche, decine di morti. Solidarność venne bandita e Wałęsa fu messo in carcere per più di un anno. Era ancora agli arresti domiciliari quando, nel 1983, ricevette il premio Nobel per la pace. Anche dopo il putsch di Jaruzelski l’Italia fu il paese, con il Vaticano, più vicino alla Polonia. Il governo, presieduto allora dal repubblicano Spadolini, fu il primo a condannare l’azione. Furono anche gli anni di una grande immigrazione polacca in Italia.

Poi arrivò l’Ottantanove. Nell’effetto domino che fece crollare tutti i governi del Patto di Varsavia, Solidarność si presentò alle elezioni semilibere, e le vinse. Wałęsa era popolarissimo, “tanti si facevano crescere i baffi come lui” ha detto il regista Wajda, suo amico, morto pochi mesi fa. Ma nel ‘95 l’eroe Wałęsa perse le elezioni. Il “padre della democrazia” non è diventato “padre della patria” al livello del maresciallo Piłsudski, di fatto dittatore polacco dalla primo dopoguerra alla morte, nel 1935.

Sono passati ventisei anni dall’elezione di Wałęsa e la Polonia, membro dell’Unione Europea e della NATO, oggi sembra ancora lontana dagli standard occidentali di libertà e democrazia. E lo stesso Wałęsa ne sta pagando le conseguenze. Ha avuto una rilevante crescita economica dal 1990 a oggi, ma la disoccupazione e l’emigrazione restano ancora alte. Il partito di governo sta portando avanti politiche che mirano al controllo della giustizia, della burocrazia e dell’informazione. È stato dato il via libera alla creazione di squadre paramilitari, aperte ai movimenti neonazisti, “per la difesa del territorio nazionale”. Il tutto all’interno di una propaganda intrisa di cattolicesimo che attacca sempre un nemico: la sinistra, gli immigrati, i musulmani, i russi. Sono in crescita anche sentimenti antisemiti. E anche il leader storico di Solidarność è finito nel mirino del suo ex amico Jarosław Kaczyński, il vero uomo forte della Polonia, sebbene non occupi cariche pubbliche. I due erano vicini nella lotta al comunismo, ma le loro strade si sono separate in modo drammatico. Wałęsa non è più titolare di un potere politico diretto, ma ha una forte autorità morale. Proprio su questo campo Kaczyński sta cercando di colpirlo. A febbraio ambienti del governo hanno messo in giro documenti secondo cui Wałęsa sarebbe stato stato un informatore dei servizi segreti comunisti. L’interessato ha dichiarato: “La polizia segreta tentò di sedurmi, di sganciarmi dal movimento. Con tattiche subdole, diffondendo voci diffamatorie a cui qualcuno credette”. Ha smentito tutte le accuse.

Nel clima polacco c’è comunque qualcosa che si muove. Quest’autunno un gran numero di donne è sceso in piazza contro una legge del governo che imponeva restrizioni sull’aborto. Il provvedimento è stato ritirato. È la dimostrazione che l’eredità di Wałęsa è ancora viva, per i diritti dei lavoratori e dei cittadini.

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