La secolare lotta delle donne contro la violenza

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-di FEDERICA PAGLIARINI-

Il venticinque novembre è stata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Un male che affligge il mondo da secoli. Basti ricordare due tra i tanti esempi che la storia passata ha conservato: Lucrezia moglie di Collatino, violentata da Sesto Tarquinio che, colpito dalla sua castità e bellezza abusò di lei e la famosa storia della pittrice Artemisia Gentileschi che subì violenza nel 1611 da Agostino Tassi, maestro disegnatore della pittrice e amico del padre Orazio Gentileschi. Solo un anno dopo ci fu la sentenza contro il violentatore da parte del padre di Artemisia, che voleva vendicare la figlia. Fu un processo lungo che portò però fortunatamente e giustamente alla condanna di Agostino Tassi.

Artemisia è oggi diventata simbolo dell’arte contro la violenza sulle donne. Lei che è stata una delle prime figure femminili a cimentarsi pubblicamente nella pittura senza pseudonimi maschili, in un’epoca dove era quasi impossibile per una donna fare professioni che non erano legate alla vita domestica o alla cura dei figli.

Di secoli ne sono passati, ma i soprusi ancora ci sono e diventano sempre più grandi e violenti. Non solo violentatori, anche stalker, persecutori incalliti contro le loro fidanzate o ex fidanzate. Loro, uomini deboli e incapaci di lasciare alle proprie spalle il passato che si sentono autorizzati a infliggere “castighi” alle loro donne. Quanti donne cosparse di benzina e trasformate in torce umane o volti e altre parti del corpo sfigurate permanentemente con l’acido? In alcuni casi si parla di pentimento, dopo, per il gesto compiuto, spesso solo per strappare qualche attenuante generica nel successivo processo. Ma ormai le scuse non servono a nulla. Donne che guardandosi allo specchio non si riconosceranno più, uccise non fisicamente ma nella loro originaria identità, probabilmente una fattispecie di reato nuova da definire e inserire nei codici per garantire agli autori di questi reati la giusta punizione evitando che possano sottrarsi alla pena aggrappandosi a qualche cavillo.

Ma le donne non sono rimaste con le mani in mano. Il movimento femminista che si è sviluppato a partire dal Settecento, ha continuato a diffondersi a macchia d’olio in Inghilterra, in Francia, negli Stati Uniti e in Italia. Un movimento che cominciò a rivendicare la parità dei sessi, il diritto al voto, la legalizzazione dell’aborto e via dicendo.

Sabato scorso, 26 novembre, si sono numerosi cortei di donne hanno attraversato le città d’Italia, non solo a Roma. Oltre duecentomila persone scese in piazza per manifestare e gridare il proprio rifiuto di una violenza figlia di una cultura maschilista e sessista che trova anche nel web, nei social network canali per illustrare la consistenza di certe menti che abitano intorno a noi, incrociamo per strada, sfioriamo sui luoghi di lavoro. Quella romana partita da Piazza Esedra per arrivare a Colosse, ha visto la partecipazione di bambine, ragazze, soprattutto donne che sono riuscite a superare i soprusi dei propri mariti o fidanzati e che ora possono testimoniare l’insensatezza di certe situazioni.

Tanti obiettivi sono stati raggiunti, molti restano da raggiungere. C’è ancora molto su cui lavorare. E per cui battersi.

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