Questo intervento di Riccardo Lombardi alla Camera nella seduta del 20 aprile 1961 può essere utilizzato anche come una piccola lezione di storia. Il Psi all’epoca era attestato, a livello internazionale, su una posizione neutralista. Il giorno prima, il 19, nella Baia dei porci a Cuba si era concluso il fallimentare tentativo di sbarco di una sorta di piccolo esercito composto da esuli cubani e mercenari. Passerà alla storia come il più grande fallimento di John Fitzgerald Kennedy. Un fallimento politico, ideale (come sottolinea Lombardi facendo riferimento alle speranze alimentate dalla nuova presidenza) prima ancora che militare. Lo sbarco nella baia a sud-ovest dell’Isola doveva portare al rovesciamento di Fidel Castro. Il piano era stato preparato l’anno precedente dalla Cia. L’Italia assume, attraverso Amintore Fanfani, all’epoca presidente del Consiglio, una posizione che solo eufemisticamente si potrebbe definire prudente visto il grave comportamento degli Usa intenzionati a partecipare direttamente al rovesciamento di un regime straniero. Lombardi contesta e condanna. Nel giorno in cui scompare uno dei principali protagonisti di quella vicenda, Fidel Castro, ci sembra opportuno riproporre questa lettura.
-di RICCARDO LOMBARDI*-
Il presidente del Consiglio, abbandonando il consueto sistema di riferire l’opinione dei prefetti, si è limitato a riferire l’opinione del dipartimento di Stato. Evidentemente non possiamo essere soddisfatti del fatto che il governo dichiari di non avere una sua opinione specifica, la quale lo abiliti a una posizione autonoma in sede Onu, e che perciò mancando di una giustificazione e una dottrina, si limiti – come il Presidente del Consiglio ci ha testé annunciato – a far proprio, in modo immotivato o comunque non illustrato ala Camera italiana, il contenuto e i suggerimenti di una mozione dei paesi dell’America latina di cui si ignora il contenuto e il dispositivo.
Allorché il Presidente del Consiglio ha accennato ad una valutazione autonoma degli avvenimenti di Cuba, egli è ricorso al consueto sistema di inserire ciò che di grave è avvenuto a Cuba nel quadro di una lotta fra i blocchi e di una lotta al comunismo. Devo dire che noi non condividiamo questo modo artificioso di porre la questione. I gravi avvenimenti di Cuba non sono un episodio della lotta tra i blocchi, non sono espressione di una partita aperta tra Stati Uniti e Unione Sovietica sono piuttosto espressione di una partita aperta fra Stati Uniti e America latina.
Nei pochi minuti che mi sono consentiti per la replica cercherò di accennare ai motivi che ci fanno considerare quest’interpretazione come giusta ed errata l’interpretazione che ha dato il Presidente del Consiglio. Noi abbiamo assistito con aperta simpatia fin dal primo momento, all’azione del movimento del 26 luglio, la quale tendeva ad introdurre un fatto nuovo e decisivo nella storia dei paesi latino-americani. Non si trattava soltanto di una guerra contro la sanguinaria dittatura del colonnello Batista; si trattava di un nuovo tipo di lotta, diretta e conseguente, contro l’imperialismo economico.
È proprio su questo punto che è avvenuta la frattura fra il movimento di Fidel Castro (incoraggiato dagli Stati Uniti dopo lunghe perplessità) e il governo degli Stati Uniti.
La presunta identificazione del movimento fidelista con gli interessi del blocco sovietico sarà smentita per lo meno dal fatto che il primo atto di amicizia che l’Unione Sovietica abbia compiuto nei riguardi del nuovo governo cubano si è manifestato ben 14 mesi dopo l’assunzione del potere da parte del movimento fidelista con la visita cioè del signor Mikoyan a Cuba.
Ora, il fatto nuovo del movimento rivoluzionario del popolo cubano consiste nell’aver inaugurato la lotta per attuare fondamentali riforme di struttura. Un paese in cui i cinque sesti della popolazione sono contadini, un paese in cui la corruzione è stata a lungo la norma della vita politica, non poteva aspirare a liberarsi definitivamente della dittatura se non attraverso profonde trasformazioni capaci di creare le condizioni per un nuovo tipo di libertà e di democrazia.
L’originalità del movimento fidelista consiste appunto nell’aver perseguito con coerenza una fondamentale riforma di struttura, associando il movimento dei contadini al successo della rivoluzione. Questa è una delle cose che gli Stati Uniti meno facilmente riescono a comprendere. Cosicché, man mano che venivano sviluppandosi le linee fondamentali di riforma delle strutture economiche e sociali dell’isola cubana, venivano contemporaneamente a cessare le simpatie iniziali degli Stati Uniti, per dar luogo all’aperta ostilità.
Il primo episodio che ha sollevato le proteste degli ambienti capitalisti ed imperialistici degli Stati Uniti è stato quello del petrolio. Devo ricordare che il governo di Fidel Castro si trovò ad aver bisogno assoluto di divise per assicurare lo svolgimento normale della vita del paese. Cosicché quando quel governo non fu in grado di poter pagare con dollari il petrolio americano si rivolse al solo paese che poteva fornirgli il petrolio, l’Unione Sovietica. A questo atto seguì il rifiuto di raffinare il petrolio da parte delle tre raffinerie americane. Naturalmente non è questo rifiuto che deve scandalizzare. Si sa che tutte le raffinerie lavorano in perdita. Il guadagno delle grandi compagnie petrolifere deriva dall’associazione tra il prezzo del greggio e il costo di raffinazione. Esse guadagnano sul prezzo del greggio e perdono sulla raffinazione. Il guadagno complessivo è dovuto all’associazione delle due operazioni. Seguì l’inevitabile nazionalizzazione delle raffinerie, poiché nessuno può pensare che un paese si lasci asfissiare dal punto di vista economico, come sarebbe stato il caso di Cuba, in quanto tutte le fonti energetiche disponibili per l’industria e l’agricoltura derivano dalla raffinazione del petrolio. La rappresaglia americana ebbe, come preimo risultato, il blocco economico parziale.
A determinare un inasprimento fra Cuba e gli Stati Uniti intervenne poi, a sei mesi di distanza dalla conquista del potere da parte di Fidel Castro, la riforma agraria. Con la scusa che essa era stata effettuata senza indennizzi (in realtà era stato effettuato il sequestro e promesso l’indennizzo) gli Stati Uniti si rifiutarono di rispettare l’accordo in base al quale essi avrebbero potuto importare almeno 700 mila quintali di canna da zucchero, mettendo così in situazione disperata un paese caratterizzato dalla monocultura, nel quale il 45 per cento della produzione di canna da zucchero era in mani americane e il rimanente nelle mani di un gruppo di una decina di grossi proprietari.
Si è trattato dunque di una vera e propria guerra economica sviluppatasi secondo una linea estremamente logica e che ha portato al blocco economico decretato dagli Stati Uniti nell’autunno del 1960 e, come risposta, alla nazionalizzazione integrale delle industrie americane esistenti nel paese.
Da ciò, e non dal presunto assoggettamento del governo cubano agli interessi di un blocco estraneo e lontano, nasce la guerra aperta divampata nei giorni scorsi; guerra aperta che non ha lo scopo di controbattere una presunta e fantomatica invadenza sovietica nelle acque del mar dei Caraibi come è stato da qualche parte affermato. Ricorderà che proprio lo scrittore Graham Greene fece ridere tutto il mondo pubblicando un famoso romanzo nel quale raccontava di un fantomatico complotto, molto ante litteram, diretto a confiscare le risorse economiche e militari dell’isola per fare la guerra agli Stati Uniti d’America.
Evidentemente, questo è un falso scopo al quale si è fatto ricorso, invero con una certa abilità, per screditare agli occhi dei popoli dell’America latina il movimento castrista, alterandone la natura.
La realtà vera è che quanto è avvenuto a Cuba ha costituito e costituisce, per il governo statunitense, un esempio pericoloso, che potrebbe essere seguito da altri Paesi dell’America latina. Ora per gli Stati Uniti d’America rappresenta una questione vitale (non ho difficoltà a riconoscerlo) il normale approvvigionamento e sfruttamento delle materie prime del continente sudamericano. A riprova di ciò mi basterà ricordare che gli Stati Uniti d’America dipendono essenzialmente per la loro prosperità dall’America latina in quanto, per citare solo le materie prime fondamentali, importano da essa il 67 per cento del loro fabbisogno di stagno, il 74 del manganese, il 69 del cobalto, il 96 del cromo, il 93 del caucciù, il 77 della canapa, il 99 dei diamanti industriali, il 100 per cento della bauxite, il 71 del petrolio.
Per alimentare e tenere aperti questi mercati di materie prime, gli Stati Uniti sviluppano nell’America del Sud quella politica di aiuti che è una componente essenziale della loro politica economica e che costituisce la chiave del sistema di imperialismo economico degli Stati Uniti. Questa nazione investe annualmente nei paesi dell’America latina una somma che negli ultimi cinque anni è stata annualmente di un miliardo di dollari, pari a 640 miliardi di lire.
Una situazione così fatta, nella quale gli Stati Uniti dipendono vitalmente dal mercato latino-americano, obbliga questa nazione a un certo tipo di intervento economico e le preclude qualunque possibilità di guardare con un minimo di simpatia a un movimento che conduca in prospettiva ad un mutamento di regime politico e alla creazione di un ambiente diverso nel quale si sviluppino gli investimenti che il capitalismo americano effettua, in così larga misura negli stati dell’America latina.
Sta qui la chiave di volta per comprendere quanto è avvenuto a Cuba, Gli avvenimenti cubani rappresentano un esempio tipico, cristallino nella sua semplicità degli interessi economici che rappresentano oggi l’oggetto della lotta fra le nazioni latino-americane e l’imperialismo statunitense, lotta di cui Cuba ha dato un esempio spettacolare che si è cercato prima di screditare con la calunnia, poi di ritardare con il blocco economico e infine di strozzare ed infrangere attraverso l’aggressione armata.
La prospettiva quindi, nel quadro in cui il nostro governo ha collocato gli avvenimenti dell’America latina, non è persuasiva; non solo, ma è il contrario della verità. Essa corrisponde, sì, ad una interpretazione di comodo da parte del governo degli Stati Uniti d’America, ma non può essere accettata come valida e seria dal Parlamento e dal popolo italiano.
Nella seconda parte della sua risposta, l’onorevole Presidente del consiglio ha accennato ad abusi ed eccessi da parte del governo di Fidel Castro. È una rivoluzione la quale si trova minacciata: evidentemente,, in tanto può tenere una linea di civiltà, nella misura in cui essa sia lasciata nelle migliori condizioni possibili, per lo meno, di equità e parità, per potersi svolgere. È chiaro che non è il metodo della continua aggressione, del sabotaggio organizzato, che può indurre le forze più aperte, più liberali esistenti in ogni rivoluzione ad avere la prevalenza.
È chiaro che la lotta armata (giacché non si è iniziata solo tre giorni fa) che è stata organizzata contro il governo di Cuba non poteva che condurre alla prevalenza degli elementi più radicali, determinare un aumento di peso delle forze comuniste; le quali, come tutti sanno, durante il periodo di preparazione della lotta contro il governo Batista, erano rimaste assenti o diffidenti e non incoraggiavano affatto la stessa riforma fondiaria di Fidel Castro, la quale non risponde agli schemi consueti delle riforme agrarie dei paesi sotto la guida dell’Unione Sovietica. Quando una rivoluzione viene aggredita, taglieggiata, non soltanto calunniata, ma impedita nel suo svolgimento, non vi è che attendersi uno spostamento di equilibrio a favore degli elementi oltranzisti, degli elementi più radicali.
Ricordo che il governo degli Stati Uniti ha tanto rimproverato quelle famose 70 fucilazioni avvenute all’indomani dell’avvento del regime di Fidel Castro. Una delle accuse contro il governo di Fidel Castro è stata quella di aver istituito la pena di morte che non esisteva sotto il governo Batista, Però sotto Batista oltre 10 mila furono gli scomparsi dalle carceri senza lasciar traccia, senza che l’opinione pubblica americana, così raffinata e sensibile alle questioni di umanità, abbia mai sentito il bisogno di elevare la centesima parte delle proteste che sono state rivolte contro la relativamente moderata reazione di una rivoluzione vittoriosa dopo venti anni di dittatura.
Quando il governo, da questa sua sbagliata impostazione e da questo suo errato giudizio su ciò che è avvenuto a Cuba, passa alla conseguenza operativa della sua politica, cioè alle istruzioni date alle nostra rappresentanza all’Onu in sede di dibattito della prima commissione politica non ci dà altro se non una adesione immotivata, o motivata male (il che è peggio), ad una proposta di risoluzione presentata dai paesi dell’America latina: della quale non ci viene detto che è accolta e appoggiata dal governo italiano perché giusta, ma solo perché in generale dobbiamo essere d’accordo con i paesi dell’America latina.
Onorevole presidente del consiglio potremmo essere d’accordo con i paesi dell’America latina se hanno ragione; ma saremo d’accordo quando, per avventura, avessero torto. Ella avrebbe dovuto dirci in che cosa consiste, quale è lo spirito, quali sono i moventi e le finalità che si ripromette la mozione dei paesi dell’America latina. Avrebbe dovuto dirci, per lo meno, in che cosa differiva dalle altre tre mozioni che sono state presentate, quella del Messico, quella dei paesi afro-asiatici e quella dell’Unione Sovietica.
Soltanto allora avremmo potuto esprimere un giudizio corretto sulla pertinenza dell’azione di governo; il quale si è accontentato di riproporre di straforo, in maniera puerile, il metodo di tenere come norma, indipendentemente dal contenuto, e dallo scopo, qualunque azione di carattere internazionale intrapresa da amici o da alleati.
È un sistema che dobbiamo respingere. Al Consiglio di sicurezza dell’Onu non si dibatte soltanto il destino della rivoluzione cubana che ai socialisti importa molto ed alla quale esprimiamo ancora una volta la nostra fiducia e la nostra simpatia: si dibatte la pace del mondo, si dibatte la causa della distensione. E il fatto che una amministrazione come quella Kennedy, sulla quale si fondavano tante speranze di rinnovamento, abbia pensato di screditarsi in un modo così puerile, in un tentativo per giunta fallito, deve far riflettere il nostro governo che è finito una buona volta il tempo in cui si può regolare la propria azione in campo internazionale sulla scorta di una nazione, quale che essa sia.
Non è la prima vota che noi richiediamo al nostro governo, anche nel quadro delle alleanze stipulate, ad attenersi a una interpretazione restrittiva delle stesse, senza andare al di là di obblighi tassativamente specificati dal trattato, senza invadere campi ed argomenti che siano al di fuori degli stretti e limitati scopi difensivi sanciti dai trattati.
Avremmo ritenuto pertinente, da parte del governo italiano, un giudizio sia pur moderato di condanna di quanto è avvenuto a Cuba; condanna che sarebbe stata più che giustificata. E che non vi è bisogno di appellarsi a ciò che dice il governo circa gli incoraggiamenti, gli aiuti in armi, in viveri, in mezzi anche navali delle forze che hanno tentato l’aggressione a Cuba. È appena il caso che ricordi ciò che dichiara la stampa ufficiosa statunitense, allorché confessa apertamente gli aiuti del governo di quel paese agli invasori in fatto di armi e di basi da cui scatenare l’aggressione.
In un caso di questo genere un governo non può né deve tacere, quando tutto il popolo italiano – il quale sa che cosa sia l’intervento straniero – reclama dal proprio governo una parola moderata come è necessario, ma serena e ferma. Invece esso non riceve per risposta che un tentativo lacrimevole di rappresentare, in pieno Parlamento, neppure quella che è l’opinione più accreditata, ma un’opinione fabbricata in seguito all’insuccesso del tentativo. Mi chiedo quale sarebbe l’opinione del governo americano e la valutazione espressa dal nostro governo, se anziché fallito, il colpo di mano su Cuba avesse avuto in inizio di successo!
Per queste ragioni, onorevole Presidente del consiglio, noi non ci possiamo dichiarare soddisfatti ed esortiamo il governo a rivedere dal fondo la sua linea politica che, anche se limitata, potrebbe non essere priva di effetti. Questo perché si possa misurare il grado di autonomia di un governo dalla sua capacità di parlare fermamente anche nell’ambito delle alleanze stipulate.
Non abbiamo visto, neppure in questa occasione, nulla di nuovo. Le parole dell’onorevole Presidente del consiglio hanno avuto una maggiore moderazione, qualche incertezza e una certa ambivalenza nella valutazione degli avvenimenti: non più di questo, mentre la situazione esige franchezza e fermezza. E proprio perché di questo più autonomo contegno del governo italiano non vi è traccia nelle dichiarazioni del Presidente del consiglio, ci dichiariamo apertamente insoddisfatti delle dichiarazioni che ha reso oggi.
* Intervento nella seduta del 20 aprile 1961