Il governo, il decreto e il “pendolo” fiscale

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-di SANDRO ROAZZI-

C’è tanto fisco in questa settimana economica. Il decreto fiscale è legge con le sue sanatorie a chiudere l’epoca Equitalia e le agevolazioni indirizzate soprattutto alle Pmi che vedono tramontare gli studi di settore. E ci sono i 190 miliardi di evasione fiscale denunciati per l’ennesima volta dal Ministro Pier Carlo Padoan di cui una parte non minima dipenda dall’Iva, quella stessa imposta che rimane come una spada di Damocle sui consumi futuri. Una parte però, visto che una altra buona fetta dipende dalla grande evasione ed elusione verso le quali gli sforzi compiuti per ridurle non hanno dato grandi esiti positivi. Il vero interrogativo che vien voglia di porre è forse questo: quando finiremo di assistere ad un fisco ondivago che fa un passo avanti ed uno indietro?
Il governo Renzi con il decreto fiscale punta a cancellare ancora una volta l’immagine di un centro-sinistra che tassa. Nel frattempo però anche il termine centro-sinistra sembra aver perso una sua connotazione precisa. Certamente c’è uno sforzo di alleggerimento fiscale ma senza la madre di tutte le riforme fiscali che è quella dell’IRPEF. Vale a dire il baricentro della equità fiscale. Ed allora il decreto fiscale sembra intanto voler assolvere a due obiettivi di breve periodo: rendere meno amaro un 2017 dalle mille incognite soprattutto per le imprese, incassare, una tantum, un po’ di soldi utili per qualche misura espansiva.

E’ il caso della sanatoria delle cartelle esattoriali che sfuggono alla ghigliottina dei maxi interessi e more, nonché delle misure varate per il rientro dei capitali. In entrambi i casi trionfa il compromesso: si “abbuona” per incassare, ma nulla fa pensare che sia davvero terminato il tempo delle “grida” feroci nei confronti di chi sgarra ma che, come quelle manzoniane, sono inefficaci, realizzando contemporaneamente un reale mutamento del sistema fiscale.

Un punto poi va considerato: la fine degli studi di settore determina anche la conclusione di quell’inevitabile appiattimento sui valori minimi consentiti che permetteva a tantissime pmi -in difficoltà e non – di… sentirsi in regola. Ora sembra prevalere una logica opposta e che ha le sue buone ragioni: quella premiale nei confronti di chi fa il proprio dovere. Ma resta quella nebulosa di comportamenti che oscillano fra la furbizia e la correttezza formale che caratterizza parte del mondo delle imprese e che finisce per mantenere forse troppo ampia un’area fiscale grigia che andrebbe invece prosciugata a beneficio degli interessi generali.

La domanda in questo caso è: queste misure sono in grado di avviare un processo di cambiamento del costume fiscale? Sono la premessa per determinare un rapporto diverso fra fisco e contribuenti che ci faccia grazia in futuro di sentirci propinare cifre sulla evasione ed elusione fiscale da capogiro? Qualche dubbio sopravvive. Il Governo dal canto suo ricorda che con questa manovra i miliardi risparmiati dai contribuenti non sono certo un sacchetto di bruscolini, circa 23. Ma quel gruzzolo consistente che va a favore delle imprese quanto influenzerà nuovi investimenti e quanto invece contribuirà a rimpinguare i portafogli? Difficile da prevedere ma un pizzico di pessimismo è di rigore.

Infine un ragionamento va fatto sulle agevolazioni fiscali a vantaggio della contrattazione di secondo livello: una scelta importante ma se rafforza il peso delle relazioni industriali, non si sostituisce a prospettive più generali di welfare, può assolvere ad un ruolo positivo nel ridisegnare il rapporto in evoluzione fra tempo di lavoro e tempo libero. Naturalmente dopo il 4 dicembre si aprirà una nuova fase e qualcosa di quello che ci aspetta si comprenderà forse meglio. Importante sarebbe pero’ uscire da questo scenario dalla doppia faccia: quella propria di un disegno riformatore, pure se abbozzato, quella di una caccia abile ma di corto respiro al consenso. Il decreto queste ‘anime” sembra contenerle entrambe. E non sceglie, per ora. Un corollario lo merita infine l’annuncio del Governo nei riguardi dei contratti del pubblico impiego con il balenare di una cifra media offerta, 85 euro pare, simile a quanto è avvenuto nel settore privato. Sopravviverà al 4 dicembre?

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