-di MAURO MILANO-
È di ieri la notizia di un nuova esecuzione capitale negli Stati Uniti. Un’iniezione letale somministrata a un uomo di 54 anni, Steven Spears, accusato di aver ucciso nel 2001 la sua ex fidanzata, che l’aveva lasciato. La clemenza è stata negata da un’apposita commissione. Pena capitale per il “femminicidio”. Si tratta dell’esecuzione dell’ottava sentenza di morte portata a termine in Georgia, che ha così fissato per l’anno in corso un macabro primato superato addirittura il sempre “attivissimo” il Texas che si è fermato a sette.
“Georgia on my mind…” dice una vecchia canzone. Siamo in uno Stato del Sud, che aderì alla Confederazione 1861 (come il Texas che ha superato), famoso all’epoca per le piantagioni sconfinate – dunque piene di schiavi – che può contare anche su un industria sviluppata. La patria della Coca-Cola, ma anche di due premi Nobel per la pace: l’ex presidente Jimmy Carter e Martin Luther King. A febbraio la Georgia era stata già al centro delle polemiche per aver giustiziato un uomo di 72 anni, per un omicidio compiuto nel 1979.
“Secondo il report di Amnesty International Condanne a morte ed esecuzioni, nel 2015 negli Stati Uniti sono state eseguite 28 sentenze; il boia ha lavorato in sei stati: Texas (13), Missouri (6), Georgia (5), Florida (2), Oklahoma (1), Virginia (1). Negli Usa al momento 2.851 persone sono “in attesa” nel braccio della morte, fra cui 746 in California, 389 in Florida, 250 in Texas, 185 in Alabama e 181 in Pennsylvania.” racconta vita.it, le esecuzioni negli anni sono diminuite, ma restano una pena possibile per alcuni reati. E proprio nel giorno dell’Election Day che ha incoronato Donald Trump presidente, in alcuni Stati americani si è votato anche sulla massima punizione. La California ne ha respinto l’abrogazione, l’Oklahoma ne ha ribadito la legittimità e il Nebraska l’ha reintrodotta, dopo che l’anno scorso era stata abolita. Lo Stato non applicava condanne dal 1997 e a oggi ha dieci persone nel braccio della morte. Il 45esimo Presidente si è espresso a favore della pena di morte durante la campagna elettorale, e ha dichiarato più volte di voler nominare anche un nuovo giudice della Corte Suprema che sia a favore, come lo era il defunto giudice che ha lasciato il seggio vacante. Un altro giudice supremo, Stephen Breyer, ha auspicato un’ampia riflessione sul tema.
La contestazione della validità dell’esecuzione capitale ha radici antichissime, filosofiche e religiose. Dalla Bibbia, a Seneca, a Sant’Agostino. Nel dicembre 2007, l’Assemblea generale dell’ONU ha ratificato con 104 voti a favore, 54 contrari e 29 astenuti una moratoria universale della pena di morte in tutto il mondo. L’associazione Nessuno Tocchi Caino, fondata a Roma nel 1993 dalla militante radicale Mariateresa Di Lascia ha creato una banca dati che è la principale fonte di informazioni sull’argomento. L’archivio è diviso per anni e per tipologie di paesi (dal punto di vista politico) in cui la pena è ancora eseguita. I paesi che l’hanno abolita- secondo il Database – sono 103, sono 6 quelli che l’hanno abolita per i crimini ordinari (tra cui il Brasile e Israele), 46 che non la applicano (come il Libano o la Tunisia) e vengono considerati “Abolizionisti di fatto”, la Russia e altri 5 paesi attuano la moratoria. Tra i 37 paesi “mantenitori” oltre agli USA figurano il Giappone, l’India e la Cina. La Turchia, che l’ha abolita del tutto nel 2004 in vista dei negoziati per l’entrata nell’Unione Europea, potrebbe reintrodurla nel clima di repressione alimentato nel paese dal presidente Erdogan dopo il fallito colpo di stato del 15 luglio scorso. “Se il popolo vuole la pena di morte, i Partiti seguiranno la sua volontà. Approverei la pena di morte se il Parlamento votasse per introdurla”, ha affermato il Presidente Erdogan davanti a una grande folla che manifestava per lui quest’estate. “Molti altri Paesi hanno la pena di morte”, ha aggiunto creando così le condizioni perché oceanicamente e “spontaneamente” il suo popolo possa chiedere al Parlamento quel “grande”, “libero” voto. Nell’area mediorientale, quest’anno, abbiamo assistito a un uso politico delle esecuzioni: l’uccisione di un imam sciita in Arabia Saudita ha provocato una violenta reazione dell’Iran. D’altra parte la mancata eliminazione fisica dell’ex presidente egiziano Morsi – si dovrà rifare il processo – sta avendo le sue “inevitabili” conseguenze.
L’Italia, il paese di Cesare Beccaria, può vantare una serie di primati sull’abolizione della pena. Gli antichi Stati furono i primi paesi in Europa a sospendere la pena: il primato è della Repubblica di Venezia, poi seguì il Granducato di Toscana nel 1786. Anche il Regno postunitario fu all’avanguardia: nel 1889 il Codice Zanardelli abolì l’esecuzione capitale in tempo di pace. Reintrodotta nel 1926, è stata di nuovo abolita nel 1948 (ultima esecuzione nel 1927). Nel 1994 è stata eliminata anche dal diritto militare. Ma considerati i “venti” che spirano in alcuni settori della politica (sempre pronti a sollecitare, accompagnare e amplificare le reazioni emotive della pubblica opinione), meglio non abbassare la guardia.
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