-di SANDRO ROAZZI-
Il richiamo di Bruxelles stavolta è soft, spada di Damocle sulla legge di stabilità italica che assomiglia ad un temperino. In realtà la vera notizia che arriva dalla Euro-commissione cui Junker maldestramente come al solito rivendica un ruolo politico arriva dall’invito ai Paesi che sono in regola ad allentare moderatamente la leva fiscale. Che, tradotto, vorrebbe dire “cara Germania, scusa il disturbo ma sarebbe opportuno mettere più risorse nella crescita”. Se non ci pensa la Merkel che guida… la tradotta europea su binari accidentati, chi potra’ mai farlo? Poi un buffetto anche per i tedeschi: occhio al surplus commerciale. Che nessuno finora ha veramente messo sotto accusa e non si vede chi lo farà anche in futuro dalle stanze fi Bruxelles.
L’ipocrisia in fondo sta proprio in questo atteggiamento: si supera la logica della austerità finendo però per tracciare l’identikit di una Europa a due velocità regolata per giunta da regole che sanno di muffa. Sarebbe molto meglio prendere il coraggio a due mani e ridiscuterle tutte, visto che siamo alla vigilia di cambiamenti non da poco dopo l’elezione di Trump alla Presidenza Usa. Non a caso qualcuno ricordava che quando gli Stati Uniti cambiano… cambia il mondo. Ma l’Europa sembra invece più interessata a conciliare l’inconciliabile. Potenza dell’euroburocrazia. Sembra quasi che Bruxelles allontani come una sciagura l’invito che vien fatto da molti osservatori secondo i quali il continente europeo dovrà fare I conti con una verità scomoda ma non aggirabile: se vuol mantenere un minimo di coesione reale deve fare da sola. E fare da sola vuol dire cambiare.
Non la testa di Junker, ovviamente. Ma il ritorno ad una visione politica del ruolo europeo dopo la svolta Usa farebbe bene alla economia continentale ma potrebbe essere anche un argine a quelle spinte populiste che non aspettano altro che gli appuntamenti elettorali per tritare quel che resta dei partiti tradizionali. Moscovici è un esempio di questa contraddizione: rivolge paterni… altola’ all’Italia mentre in patria spunta la candidatura di tal Macron, ex ministro di Hollande, con l’intenzione di dare un volto “socialista” ad una politica antisistema che potrebbe ridurre il partito di Hollande e dello stesso Moscovici ad essere dopo decenni un incidente di percorso.
La crisi delle socialdemocrazie europee sta diventando generale, trascinando con sé probabilmente un possibile declino dei partiti di massa. E non è solo la conseguenza dell’esaurirsi della prima fase della globalizzazione minata dalla recessione e dagli eccessi della finanza, ma anche della stanchezza culturale nell’individuare nuovi modelli di sviluppo e della lontananza dalla vita reale di quel mondo del lavoro che era stata per decenni la stella polare dell’impegno riformista. Quanto all’Italia, non siamo messi certo meglio. Una delle tante previsioni in giro per il mondo immagina una crescita al 3% dell’economia mondiale per il 2017, ma con una zavorra che impedirà di fare meglio e che è costituita dalle performance di tre Paesi: Giappone, Brasile e… Italia. Tanto per dire…