Le parole d’autore di Nenni: sottocosto

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– DI FRANCESCA VIAN –

Pietro Nenni sferra l’aggettivo “sottocosto” in uno dei momenti più drammatici della sua vita politica. E’ da poco redattore dell’Avanti!, ma anziché obbedire al suo direttore, Giacinto Menotti Serrati, Nenni è costretto ad obbedire alla sua coscienza.

Alla fine del 1922, la Terza Internazionale ordina infatti da Mosca la fusione del Partito Socialista Italiano con il Partito Comunista d’Italia, costituitosi l’anno precedente. I vertici dei due partiti, Giacinto Menotti Serrati e Antonio Gramsci, anch’essi a Mosca, sono d’accordo con la fusione. Pietro Nenni invece reagisce in difesa del Partito socialista, interpretando il volere del gruppo direttivo, e sostanzialmente di tutto il partito. A suo parere, non si voleva ordinare la fusione, ma “la liquidazione sotto-costo del partito socialista”.

Nessun compito mi fu mai più penoso di quello che mi comanda oggi un senso elementare di dovere verso il partito, verso gli ottimi compagni che mi sollecitano a uscire dal riserbo, verso me stesso. (…)

Io penso che se la nostra delegazione a Mosca, la Direzione del partito che ne ha convalidato l’operato, avessero ricevuto l’incarico di procedere alla liquidazione sotto-costo del partito socialista, senza alcun beneficio né per l’Internazionale, né per il proletariato, non si sarebbero comportate diversamente.” (Avanti!, 3 gennaio 1923, ripubblicato in La battaglia socialista contro il fascismo, 1977).

Questo articolo “suscitò un pandemonio”, e fu “un atto di indisciplina del collaboratore” verso il direttore, come scrive Giuseppe Tamburrano (Pietro Nenni, 1986, Laterza; lo storico ritorna sull’argomento anche in https://fondazionenenni.blog/2011/11/15/quando-lavanti-salvo-il-partito/).

Da Mosca chiedono immediatamente l’espulsione di Nenni. Il Partito Socialista disobbedisce agli ordini: Pietro Nenni, Olindo Vernocchi, Riccardo Momigliano diventano i direttori del quotidiano. Giacinto Menotti Serrati viene espulso. L’operazione storica voluta dalla Terza Internazionale, dunque, non va a buon fine.

Sottocosto, nel significato di “attuato senza il riguardo e la considerazione che sarebbero opportuni”, è un aggettivo già assegnato a Pietro Nenni dai dizionari, tra i quali anche il prestigioso “Grande dizionario della lingua italiana” (UTET, supplemento del 2009; fonte Francesca Vian, Lingua Nostra, 1993). Il significato della parola più immediato è di carattere economico (“a prezzo inferiore a quello di costo”) e risale a venti anni dopo: dunque il sottocosto di Nenni è il primo esempio noto dell’aggettivo in Italia, in tutte le accezioni.

Anche liquidazione è una parola recente, ma non nuova. E’ già definita dai dizionari come parola economica, e già utilizzata in senso esteso dal linguaggio politico tardo-ottocentesco, come evidenzia lo studioso Vincenzo Orioles.

Nel 1923 la valenza ironica di questa espressione, liquidazione sottocosto, era molto forte. Nenni fa entrare prepotentemente nella lingua, la denuncia che l’Unione Sovietica tratta il Partito Socialista come un insieme di oggetti, uno stock di stoffe passate di moda, da vendere sottocosto. Il percorso retorico che si compie è la reificazione: le persone diventano res, cioè cose, si re-i-ficano: cioè sono fatte (da făcere) oggetti.

Anche il poeta Giuseppe Ungaretti conferisce alla prima guerra mondiale, di cui fu soldato, il potere brutale di reificare le persone: egli si sente una suola, un seme di spinalba, o anche una cosa posata in un angolo e dimenticata (da Pellegrinaggio e Natale).

Ma quando la reificazione, cioè il percorso di trasformazione da uomini in oggetti, si compie all’interno della lingua del potere, allora l’allerta deve essere massima. Ce lo denuncia il grande filologo tedesco Victor Klemperer, ebreo scampato al massacro, proprio a proposito di Liquidieren, cioè di liquidazione, parola utilizzata in chiave reificante dalla lingua dei nazisti, sulla pelle degli Ebrei.: “Più e più volte si fa sapere che per le bande di partigiani non c’è scampo; specialmente per quanto riguarda la resistenza francese, continuamente in crescita, per un bel po’ di tempo si afferma a intervalli regolari che tot resistenti sono stati “trucidati”. L’impiego di questo verbo rivela il furore nei confronti dell’avversario, che tuttavia è ancora percepito come nemico odiato, ma sempre persona. Poi però ogni giorno si legge che tot partigiani sono stati liquidati (liquidiert).  Liquidieren è un termine del linguaggio commerciale e in quanto di origine straniera un po’ più freddo e impersonale delle espressioni tedesche corrispondenti; un medico liquidiert, rilascia la fattura della somma ricevuta per le sue prestazioni, un commerciante liquida il suo negozio. (…) Se si liquidano delle persone, queste vengono eliminate, tolte di mezzo come oggetti, perché viene loro attribuito il valore di oggetti”.

E, se la lingua tedesca tratta da oggetti gli Ebrei, finisce che li chiama addirittura Stück, cioè pezzo: “Una guardiana del lager di Belsen” ha “avuto a che fare in questo o quel giorno solo con sedici pezzi. (…). Questa volontà di reificazione, ancora più intenzionale e dettata da un odio esacerbato dietro cui si scorge l’incipiente esasperazione dell’impotenza (…)” appartiene al “linguaggio dei campi di sterminio. Una simile reificazione della persona va vista come un tratto peculiare della LTI? Credo di no. Infatti essa viene applicata soltanto a persone di cui il nazismo rifiuta di riconoscere l’appartenenza alla vera umanità, persone che in quanto appartenenti a una razza inferiore o razza avversaria o in quanto sottouomini, esclude dall’umanità ristretta ai Germani o al sangue nordico, mentre all’interno di questa cerchia per così dire omologata attribuisce un grande e decisivo valore all’affermazione della personalità.”.

Per l’ebreo tedesco Victor Klemperer, scampato al massacro, è stata primariamente la lingua tedesca a modellarsi al delirio nazista: “Ecco la lingua del vincitore… non la si parla impunemente, si finisce per assimilarla, per vivere secondo il suo modello” (I passaggi in corsivo sono tratti da Victor Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Firenze, La Giuntina, 1998; edizione originale in tedesco 1947).

E’ necessario dunque vigilare sempre sulla lingua del potere, scorgere dalle derive della lingua il senso di dove si stia andando, e possibilmente correggere la rotta. Insomma, per dirla alla Giuseppe Scalarini: “Quali bocche stanno intorno alla bocca del cannone?” (Avanti!, 24 novembre 1915, scalarini.it).

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