-di ANGELO GENTILE-
Le statistiche sono solo numeri che una volta letti vanno interpretati. Eppure l’ultima elaborata da Eurostat, l’emulo dell’Istat, induce a qualche riflessione. La durata della “vita attiva”, cioè della vita lavorativa si è allungata dappertutto, anche in Italia ma nella classifica continentale il nostro Paese rimane sempre all’ultimo posto. Perché si va in pensione troppo presto? Difficile affermarlo con certezza visto lo “scalone” costruito dalla legge Fornero. Perché si entra nel lavoro troppo tardi? Qui forse siamo un po’ più vicini alla verità. Perché le aziende scaricano sulla collettività il costo delle ristrutturazioni trasformandolo in un costo sociale? Ecco, questo può essere un altro aspetto da non sottovalutare. La realtà è che, alla fine, proprio questa statistica dimostra quanto sia sostanzialmente infondata l’idea che i giovani fatichino nel nostro paese a entrare nel mondo del lavoro perché gli anziani non vogliono abbandonarlo. Paradossalmente l’Italia, per assecondare le ristrutturazioni, riduce la vita lavorativa ma contemporaneamente impedisce alle nuove generazioni l’accesso al mondo lavorativo perché nel frattempo lesina sul fronte degli investimenti.
In ogni caso nell’Unione Europea la vita lavorativa in dieci anni è aumentata di 1,9 anni attestandosi a 35,4 anni. L’aumento è dovuto in particolare alle donne che attualmente lavorano 32,8 anni mentre nel 2005 si fermavano a 30,2 con un incremento di 2,6. Per gli uomini l’aumento è stato più contenuto: appena 1,2 in più passando da 36,7 a 37,9. L’attesa di vita lavorativa più lunga la si ritrova in Svezia (41,2 anni); la più corta proprio in Italia (30,7, con un incremento di un anno e un mese in un decennio visto che nel 2015 era attestata a 29,6). Gli incrementi maggiori in Europa si sono avuti a Malta (5,1 anni in più, da 28,3 a 33,4), in Ungheria (4,2 da 28,4 a 32,6), in Lussemburgo (3,1 da 30,4 a 33,5), in Estonia (3 da 34 a 37) e in Lituania (2,9 da31,9 a 34,8). La vita lavorativa svedese è di oltre dieci anni più lunga di quella italiana, di oltre nove in Olanda (39,9), di otto in Gran Bretagna (38,6) e di poco più di sette in Germania (38).
L’incremento è stato favorito dall’innalzamento soprattutto della vita lavorativa femminile che ha fatto segnare gli incrementi più consistenti a Malta (8,6 anni), in Spagna (5,1), nel Lussemburgo (4,7), in Ungheria (4), a Cipro (3,6), in Lituania (3,5), in Germania e Austria (3,4). Ci sono state anche delle riduzioni ma solo tra gli uomini. In particolare a Cipro (è scesa di un anno e nove mesi, da 40,9 a 39), in Grecia (1,4 da 37 a 35,6), in Irlanda (1 da 39,9 a 38,9), in Spagna (7 mesi, da 37,9 a 37,2) e in Portogallo (6 mesi, da 38,9 a 38,3). Al di fuori dell’Unione bisogna segnalare che il picco massimo dell’età lavorativa viene raggiunto in Islanda: 46 anni, con un incremento di un anno e mezzo in un decennio e, per le donne, addirittura di due anni e un mese essendo passato da 42,6 a 44,7. Ma l’età lavorativa è abbondantemente cresciuta in Svizzera (due anni e quattro mesi, da 40,1 a 42,5; addirittura di 3 anni e tre mesi per le donne, da 36,8 a 40,1). Le medie nell’Europa a 28 (ormai a ventisette dopo l’uscita della Gran Bretagna) parlano di un’età lavorativa media di 35,4 anni (+1,9 nel decennio), per le donne salita di due anni e sei mesi (da 30,2 a 32,8) e per gli uomini di un anno e due mesi (da 36,7 a 37,9). In Europa le donne più stacanoviste vivono in Svezia (40,1) e appena oltre i confini dell’Europa a ventotto in Islanda (44,7). Gli uomini più stacanovisti sempre in Svezia (42,2 con un incremento di un anno sul decennio) e come sempre in Islanda (46,6 con un incremento addirittura di un anno e mezzo). Anche in Italia l’età lavorativa delle donne è aumentata (di due anni da 23,7 del 2005 a 25,7 del 2015) ma resta sempre la più breve d’Europa.