Riformatori costituzionali davvero

immagine12

-di GIANFRANCO PASQUINO*-

Una delle argomentazione sulle quali puntano i corifei del SI’ è che se vincesse il NO rimarremo nella palude, in mezzo al guado, oppure, addirittura, retrocederemmo nel Medioevo (ben preparati grazie alle previsioni dell’Ufficio Studi di Confindustria). Dicono che le posizioni costituzionali (e elettorali) del variegato schieramento del NO non riuscirebbero mai ad approdare a qualsiasi riforma, neppure la più necessaria. Sono convinto che non sarà affatto così. Senza arrogarmi nessun diritto di parlare a nome di un comitato del NO, provo a fare qualche suggerimento operativo che svuoterebbe le critiche dei si(sic)dicenti riformatori. I destinatari dei miei suggerimenti sono, in primo luogo, tutti i parlamentari che ritengono che le riforme fatte sono sbagliate, pasticciate, confuse e, probabilmente, controproducenti.

Comincio dal metodo. La premessa è che alcune riforme mirate sono certamente necessarie e subito possibili. Debbono, al tempo stesso, essere il prodotto di una visione sistemica, vale a dire come migliorare il funzionamento del sistema politico e come dare più potere agli elettori, ed essere ciascuna a se stante. Lo spacchettamento che i renziani non hanno né saputo fare né voluto accogliere consentirà agli oppositori non immobilisti di dimostrare che molto si può cambiare in maniera tale da offrire agli elettori la possibilità di respingere o confermare separatamente ciascuna singola riforma.

Naturalmente, per quel che riguarda il CNEL, la sua abolizione può essere proposta negli stessi termini della riforma già approvata. La trasformazione del Senato, se non se ne vuole procedere all’abolizione tout court, che appare difficile, ma, secondo me, nient’affatto improponibile, merita di essere ridefinita secondo due direttrici. La prima è l’accompagnamento della riduzione del numero dei senatori con la riduzione del numero dei deputati. Cinquecento deputati, naturalmente, non nominati, ma davvero eletti con una legge che non sia l’Italicum, sono più che sufficienti a garantire efficace rappresentanza politica ai cittadini italiani. Pur privato del potere di dare e di togliere la fiducia al governo, il Senato può rimanere elettivo, dirò subito come, e il numero dei senatori dovrebbe essere esattamente 93. La seconda direttrice riguarda le modalità di elezione dei senatori. La Valle d’Aosta, la provincia di Bolzano e quella di Trento eleggeranno ciascuna un senatore. Abruzzo e Molise saranno (ri)accorpate in una sola regione. I cittadini di ciascuna delle 18 regioni eleggeranno cinque senatori at large, vale a dire su base regionale. Saranno i cinque candidati che ottengono più voti ad entrare in Senato. Grazie alla loro effettiva rappresentatività politica, i senatori potranno occuparsi di leggi costituzionali, dell’elezione di un giudice costituzionale (non due), partecipare all’elezione del Presidente della Repubblica, occuparsi della politica europea. Come si capisce immediatamente, suggerisco che un apposito disegno di legge costituzionale abolisca la davvero anacronistica figura dei senatori a vita, sia quelli di nomina presidenziale sia gli ex-Presidenti della Repubblica. Insisto sul punto fondamentale che la rappresentanza politica è elettiva.

L’abolizione delle province, con eventuali poche correzioni al testo del governo, può essere ripresentata unitamente a una migliore, più riequilibrata, più snella ridefinizione dei poteri delle Regioni e del governo.

Quanto ai referendum, se ne può ovviamente arricchire la batteria, anche con i referendum propositivi, ma non se ne deve rendere più difficile il ricorso alzando a 800 mila il numero di firme necessario per richiederli. Benvenuta è la ridefinizione del quorum con riferimento ai votanti nelle elezioni immediatamente precedenti quel referendum.

Infine, suggerirei ai parlamentari del NO di intervenire con un breve disegno di legge costituzionale che stabilisca che nessun giudice costituzionale potrà ricoprire al termine del suo mandato una carica pubblica e/o elettiva. La logica, di evidenza cristallina, consiste nel cercare di evitare che i giudici costituzionali, anche i migliori fra loro, si facciano influenzare nelle loro sentenze da qualche opportunità futura.

Questo è un mini-programma riformatore che i sostenitori del NO non dovrebbero avere difficoltà a condividere e che, prima che si tenga il referendum costituzionale, i parlamentari del NO potranno altrettanto facilmente e rumorosamente presentare in Parlamento, accompagnandolo da un solenne impegno a operare per tradurlo in singole separate revisioni costituzionali. L’accusa di immobilismo non ha nessuna cittadinanza nella grandissima maggioranza dei sostenitori del NO, fuori e dentro il Parlamento italiano.

P.S. Presentare un disegno di legge sinteticissimo che abolisca l’Italicum e faccia rivivere, con un paio di ritocchi, il Mattarellum, disinnesca anche le critiche di coloro che sostengono che la vittoria del NO condurrebbe ad un sistema elettorale (fin troppo) proporzionale.

*Gianfranco Pasquino è uno tra i più autorevoli politologi italiani. I temi costituzionali sono al centro del libro che ha recentemente dato alle stampe e intitolato: “No positivo. Per la Costituzione. Per le buone riforme. Per migliorare la politica e la vita”, Edizioni Epoké, 2016 (anche e-book). Gli avevamo chiesto un contributo sul tema caldo del referendum costituzionale. La sua risposta è questo articolo che può essere letto come l’ideale conclusione del libro appena pubblicato. Lo ringraziamo per la pazienza e la disponibilità.

antoniomaglie

Rispondi