Previdenza e assistenza separate: proposta dimenticata

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-di SILVANO MINIATI-

Nessuno ha sicuramente dimenticato la lunga battaglia condotta dal movimento sindacale e dalle forze democratiche affinché si dipanasse il groviglio creatosi con la commistione tra assistenza e previdenza. 

Non sarebbe affatto lecito dimenticare che nella piattaforma politica e sindacale sulla quale si è costituito e sviluppato il partito democratico, questo obbiettivo è stato sempre molto chiaro. Altrettanto chiare le promesse di distinzione netta tra interventi previdenziali ed interventi assistenziali contenuti nel programma e nelle promesse in base alle quali Matteo Renzi si affermò nella primarie. 

Ricordi e impegni che nessuno dovrebbe sottovalutare nella consapevolezza che la distinzione tra previdenza (per chi ne ha diritto) e assistenza (a chi ne ha bisogno) è aspetto fondamentale.

Si tratta di ricordi che non possiamo dimenticare proprio nel momento in cui si è aperto uno spiraglio di confronto tra governo e sindacato. 

Occorre però far capire subito al governo che per quanto ci riguarda, le parole d’ordine e gli slogan di ieri non possono diventare le colpe di oggi.

Si è ormai usi a parlare del passato come di un pezzo di storia da ripudiare, facendo uso del metodo antico che tiene insieme minacce, promesse di riforma, “pezze” da sistemare alla rinfusa per cercare di tappare le falle che emergono in modo sempre più evidente. 

Nei palazzi del potere, esistono esperti ormai navigati nell’arte di tirare il sasso e nascondere la mano. Quando il sasso, caduto nello stagno, promuove sommovimenti imprevisti, rischiando di diventare d’intralcio alla ricerca del consenso è lecito ingarbugliare ulteriormente le cose, magari affermando che certe proposte non le hai mai fatte. Intanto però, si può procedere più lentamente senza cambiare direzione.

Prendiamo atto che dal presidente dell’INPS e dal ministro del lavoro e soci, ci arriva un messaggio preciso. E’ un invito a parlare di soldi e di bilanci anziché di persone. E’ ormai evidente che la reiterata proposta di intervenire sulle pensioni attraverso un ricalcolo delle medesime sulla base del sistema contributivo puro comporterebbe il massacro del reddito per milioni di pensionati. 

Massacro che sarebbe ovviamente giustificato in nome dell’esaltazione dei contributi versati. Che un simile calcolo comporti la creazione di una area di milioni di percettori di pensione da fame lo si ammette a denti stretti, ma non si rinuncia a riproporlo. 

Per anni, mi sono interessato di pensioni, di assistenza e di stato sociale. Modestia a parte, credo di averlo fatto in modo scrupoloso e senza mai applicare la regola della matematica trasformata in opinione.

Sulla base di questa esperienza, ho provato un moto di indignazione quando poche sere fa, Matteo Renzi ha sostenuto con molta forza di fronte a Bruno Vespa, che noi, quelli che c’erano prima (intendendo quelli arrivati il giorno dopo di lui), le pensioni le avevano tagliate e che lui e il suo governo invece, le stavano aumentando. Al momento, me la sono cavata convinto che ormai Renzi e i suoi collaboratori al governo avevano ripudiato ogni abitudine di far seguire dati e informazioni che permettano di capire di che cosa si sta parlando. In questa sede, sarei curioso di sapere quando le cose dette da Renzi sono successe e soprattutto, capire se c’è davvero una ragione che può giustificare il ricorso a giudizi tanto sbagliati e soprattutto del tutto campati in aria. Credo che il nostro presidente del consiglio dovrebbe chiedersi se è solo colpa di quelli che ci sono stati prima che l’Italia continua ad essere uno dei pochi paesi al mondo dove non esiste una legge per tutelare la non autosufficienza, che come si dovrebbe ormai sapere, costringe milioni di famiglie, che hanno un componente non autosufficiente ad una vita che spesso non è degna di questo nome. Nel contempo, dovrebbe cercare di spiegarci il perché l’ISEE, da strumento per combattere sprechi ed imbrogli, stia sempre più diventando una mannaia usata contro milioni di famiglie, soprattutto quelle composte da un familiare “tenuto al mantenimento”, quando un parente venga ricoverato in strutture per disabili che vivono molte volte in condizioni davvero indegne. 

Il sottosegretario Nannicini, ha richiamato amici e collaboratori a tenere conto che quando si ha in animo di mettere le mani nelle tasche delle persone, è davvero necessario evitare il rischio di scegliere le tasche sbagliate. A noi hanno più volte garantito che non intendevano mettere le mani nelle tasche di nessuno e siamo quindi curiosi di capirne di più.

Curiosi di capirne di più anche su come finirà la cosiddetta “anticipazione” dell’andata in pensione. Ogni giorno, emergono sempre dal governo, nuove ipotesi e nuovi gruppi di lavoratori interessati. Nessuno ci ha ancora spiegato il meccanismo infernale attraverso il quale le banche, senza costi per i lavoratori, ci dovrebbero aiutare ad usufruire delle prossime scelte del governo. E’ davvero singolare che si cerchi di accreditare la convinzione che le banche sono disponibili a tanta beneficenza, che si moltiplichino ogni giorno, gruppi di lavoratori che comunque dovrebbero essere esclusi da qualsiasi, pur minimo sacrificio.

A ben vedere, si continua a presentarci l’ipotesi di un paese del bengodi, dove nessuno ci chiede sacrifici, tutti ci garantiscono solidarietà e aiuti, mentre dall’Europa, arrivano risposte negative al nostro ottimismo senza capo né coda. 

Il panorama è veramente desolante e non ci rassicurano nemmeno le iniziative e i discorsi finalizzati ad influire sui rapporti tra il “sì” e il “no” in occasione del prossimo referendum.

Tra le tante speranze, sicuramente dure a morire, ci rimane in definitiva quella che qualcuno cerchi davvero di governare dopo aver preso atto che le affermazioni e le promesse di oggi rischiano di lasciare il tempo che trovano.

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