La riforma costituzionale (1): più rapido l’iter legislativo?

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Avviamo, a partire da oggi, una analisi dei vari capitoli in cui si articola la legge di revisione costituzionale pensando di fare cosa gradita in vista di un referendum sulla cui data l’incertezza regna sovrana.

“La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Nove parole, per esprimere un concetto semplicissimo. È l’attuale articolo 70 della Costituzione che disciplina il procedimento di approvazione di una legge ordinaria, che deve essere licenziata in identico testo da entrambi i rami del Parlamento. Conseguenza inevitabile, la cosiddetta “navetta”, ovvero il passaggio di un progetto di legge da Camera a Senato, e viceversa, fino alla sua definitiva approvazione. Un palleggio considerato da molti stucchevole e identificato come uno dei maggiori difetti del bicameralismo perfetto, responsabile della lentezza dell’iter legislativo e della complessità dello stesso. Ora, i neo-costituenti fautori della riforma costituzionale sulla quale saremo chiamati a votare, sostengono che, se vincessero i “sì”, come d’incanto tutto diventerebbe più semplice e l’attività legislativa procederebbe spedita e senza intoppi di sorta. Ma è davvero così? Di sicuro, verrebbero introdotti termini certi per quanto riguarda l’esame di un progetto di legge (o di un decreto legge) da parte del Senato, le cui proposte di modifica potrebbero poi essere condivise o bocciate dalla Camera in via definitiva. Sarà poi la pratica, in caso di vittoria del “Sì”, a dirci se questo si tradurrà in una reale semplificazione e in un miglioramento della qualità legislativa.Vista la riforma approvata dal Parlamento, però, i dubbi sono più che legittimi, dal momento che essa moltiplica le modalità di approvazione della legge (attualmente, eccettuato il procedimento aggravato necessario a cambiare il dettato costituzionale, ce n’è una e molto chiara), generando una confusione evidente fin dal testo del nuovo Articolo 70 (completato poi, in quanto a funzionamento dell’iter legislativo, dagli Articoli 71, 72, 73 e 77), che passa da 9 a 432 parole con 13 rinvii ad altri articoli della Costituzione. Non un grande inizio, ma si tratta pur sempre di una semplice questione semantica, si dirà. E allora andiamo a vedere come si articolerà concretamente il percorso di approvazione di un testo legislativo.

Una parte residuale delle leggi (da quelle costituzionali e di revisione costituzionale a quelle sulle minoranze linguistiche, da quelle su referendum, Comuni e Città metropolitane a quelle sull’eleggibilità dei senatori e sull’elezione del Senato, da quelle di partecipazione all’Unione Europea e di attuazione delle sue norme, a quelle di ratifica dei trattati internazionali) rimarranno bicamerali, nel senso che il procedimento legislativo non cambierà rispetto ad oggi.

Le altre invece saranno approvate dalla Camera: il Senato avrà 10 giorni di tempo per decidere se esaminare la legge e, in caso affermativo, altri 30 giorni per modificarla. L’ultima parola, però, spetterà sempre alla Camera, che potrà accogliere o respingere le modifiche a maggioranza semplice. Questa è l’ipotesi generale, sulla quale però si innestano, a seconda delle materie oggetto della legge, molteplici varianti. In primo luogo, i progetti di legge che prevedono il necessario, e non semplicemente possibile, esame del Senato. Quest’ultimo dovrà avvenire entro dieci giorni dalla trasmissione: si tratta delle materie non di competenza esclusiva dello Stato, ma sulle quali il governo decide di intervenire esercitando la clausola di supremazia. In caso di modifiche proposte dal Senato a maggioranza assoluta dei suoi componenti, quella stessa maggioranza assoluta dei componenti sarà necessaria alla Camera per non accogliere quelle modifiche. Poi c’è la legge di bilancio: in questo caso il tempo a disposizione del Senato per proporre dei cambiamenti è di quindici giorni a partire dalla data di trasmissione.

È finita qui? Certo che no, perché, a parte la possibilità, disciplinata dal nuovo articolo 71, che il Senato, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, richieda a Montecitorio di procedere, entro sei mesi, alla discussione di un progetto di legge, ci sono i decreti legge, il cui esame verrà disposto dal Senato entro trenta giorni dalla data di presentazione alla Camera dei Deputati. In questo caso, per Palazzo Madama, il termine per proporre le modifiche sarà di dieci giorni a partire dalla data di trasmissione del decreto stesso.

Non basta ancora, perché, ad accrescere ulteriormente il ruolo del governo nel procedimento legislativo e a contribuire a far oscillare il pendolo della forma di governo, pur senza modifiche della stessa, dal parlamentarismo al premierato, c’è il procedimento del voto a data certa, che si va ad aggiungere alla decretazione d’urgenza e ai decreti legislativi: in questo caso la Camera, previa richiesta dell’esecutivo, potrà decidere di discutere un disegno di legge in via prioritaria, in quanto essenziale per l’attuazione del programma di governo. Il Senato avrà poi cinque giorni per decidere se esaminarlo o meno e altri 15 per proporre eventuali modifiche. La Camera, infine, si pronuncerà in via definitiva entro 70 giorni dalla sua decisione di iscrivere quel disegno di legge con priorità all’ordine del giorno.

Ecco come potrebbe cambiare il procedimento legislativo. Da questi brevi cenni si comprende come una riforma dal testo farraginoso e di scarsa comprensione rischia di tradurre nella pratica quelle stesse caratteristiche. Già, perché, al di là del proliferare dei procedimenti legislativi (i sostenitori del “Sì”, sostengono, e potrebbero anche non avere torto, che si tratta solo di varianti procedurali rispetto ad un’ipotesi generale), c’è il fatto che l’applicazione dell’uno o dell’altro di quei procedimenti sarà deciso in base alle materie e, spesso, il confine tra una materia e l’altra può essere molto labile e una stessa legge ne può trattare varie. Proprio per questo, potrebbero diventare molto più frequenti i conflitti di attribuzione e i conseguenti interventi della Corte Costituzionale.

Insomma, non sembra che la previsione di tempi più o meno certi per l’esame delle leggi da parte del Senato possa portare con sé la semplificazione e la velocizzazione di un procedimento, quello attuale, che peraltro, come ha scritto il Professor Andrea Pertici (ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Pisa) lo scorso 30 agosto (ecco il link all’articolo: http://www.linkiesta.it/it/article/2016/08/30/ma-quale-semplificazione-la-riforma-costituzionale-complica-tutto/31628/) in questa legislatura ha saputo essere estremamente snello, se è vero che, finora, 180 leggi su 224 sono state approvate in seguito ad un solo passaggio in ciascuna Camera. Ecco perché, per avere un’efficace semplificazione si sarebbero potute percorrere altre strade, come quella, ad esempio, di trasformare il Senato davvero in una Camera delle Regioni, attribuendogli competenze legislative specifiche, o di abolirlo del tutto (ma prevedendo per la Camera una legge elettorale proporzionale al fine garantire le minoranze), o, ancora, attraverso un’opera di semplice manutenzione (e non di totale stravolgimento) della Costituzione, di optare per ciò che Leopoldo Elia propose già molti anni fa, cioè per una sorta di “bicameralismo procedurale”, consistente nel considerare definitivamente approvato un progetto di legge, licenziato da uno dei due rami del Parlamento, a meno che l’altra camera o il governo non avessero chiesto di riesaminarla.

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