Lombardi: l’intreccio che strozza l’Italia

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In questi ultimi mesi i è parlato molto di banche mentre in questi ultimi giorni la tragedia di Amatrice,,e Arquata ha riproposto la questione urbanistica anche dal punto di vista delle speculazioni che hanno reso le nostre case e il nostro territorio sempre più insicuri. Quarantasei anni fa i medesimi temi, seppur affrontati sotto ottiche un po’ diverse, furono al centro di un intervento parlamentare di Ricardo Lombardi alla Camera dei Deputati (si discuteva di una delle tante riforme fiscali che alla fine nel nostro paese hanno prodotto limitati benefici riuscendo solo parzialmente a snidare chi i redditi li occulta). Ciò che di questo discorso interessa è l’intreccio che Lombardi denuncia: banche-rendita fondiaria (quindi speculazione edilizia e abuso del territorio) – complicità di potere e di governo. Il dubbio che resiste è che quell’intreccio abbia resistito nel tempo giungendo (seppur in forme diverse, rinnovate, amplificate attraverso il trionfo del turbo-liberismo e della globalizzazione) sino a noi, creando le condizioni per l’attuale (complicato) “presente” dell’Italia. In ogni caso, a voi il compito di stabilire se questa nostra impressione abbia o meno una qualche validità.

-di RICCARDO LOMBARDI*-

È possibile pensare di avviare un eventuale programma di riforme ulteriori senza che sul contegno degli operatori finanziari, e in particolare delle banche, si incida in qualche modo; in modo da fare rispettare almeno degli indirizzi di massima e da toglierli all’arbitrio dei contegni individuali e concorrenziali all’interno del sistema bancario?

Credo che una delle poche riforme che sarà veramente di carattere strutturale (se si farà) , sarà quella urbanistica, perché coinvolge interessi formidabili e interessi di rendita. Io ho letto con interesse, onorevole Caprara, la tesi del “Manifesto”; ma su questi punto almeno, loro sbagliano quando pensano di minimizzare l’importanza delle posizioni di rendita in un’economia capitalista avanzata, quasi che il recidere queste posizioni corrispondesse una mera razionalizzazione del sistema. Questo forse è vero o era vero in un’economia come quella americana che è nata senza l’eredità feudale, senza l’eredità di posizioni di rendita, almeno fondiaria. Ma in un paese come il nostro, in cui le posizioni di rendita sono legate strettamente alle posizioni di profitto e non da esse svincolate, credo che eliminare sul serio, eliminare realmente, alcune massicce posizioni di rendita – e non soltanto di rendita di posizione – sarebbe una riforma di struttura che inciderebbe fortemente proprio sul sistema: una delle poche non facilmente assorbibili dal sistema.

Come si può credere che sia possibile pensare una riforma senza preoccuparsi di questa situazione? Abbiamo visto, quando abbiamo parlato negli anni scorsi di riforma ubranistica, scatenarsi forze ben individuate: tutte le forze della speculazione. Però c’è stata un’altra forza che sotto sotto agiva, sottaciuta, prudente ed erano le banche. E non potevano che fare così, perché le banche hanno una buona parte dei loro crediti garantiti sui valori dei terreni edificabili e sui valori incrementati dalla rendite crescenti dei terreni edificabili.

Io dico con questo che voglio sovvertire tutto; è chiaro che le cose non si aggiustano a sciabolate; però noi dobbiamo sapere che c’è anche questo elemento che gioca contro di noi e che gioca occultamente. Se questo fosse chiaro, se ci si venisse a dire i parlamento: badate bene che c’è qui un equilibrio di crediti in una situazione difficili, che si regge anche su questa base, ebbene si potrebbe discutere, si potrebbero discutere i tempi, si potrebbero discutere i modi. Tutto si può discutere pubblicamente, ma nulla si può ammettere di clandestino in una democrazia che voglia rassomigliare sul serio a una vera democrazia e che ne abbia almeno i dati caratteristici. Non possiamo ignorare il fatto che, se ancora una volta riusciremo a proporre sul serio una riforma urbanistica sostanziale che non potrà che basarsi (anche se questo non è il solo elemento) sula fine della rendita fondiaria sui terrei edificabili, ci troveremo anche di fronte a questa opposizione occulta, ma pesante, che vale assai più dei clamori e delle minacce di certi ambienti privati.

Questo per la riforma urbanistica. Quando poi parliamo di riforma fiscale, onorevole Giolitti, a questo punto confesso di non capire più niente. I sistemi di occultamento passano, per la gran maggioranza dei casi, sia per i privati sia per le società, attraverso l’apparato bancario. Basta citare due fatti.
Sapiamo o non sappiamo che ormai i bilanci delle società non sono più i due di cui si diceva una volta – il bilancio vero e il bilancio fiscale – ma tre? C’è infatti il bilancio vero, il bilancio fiscale e il bilancio per la banca, per ottenere i crediti e i castelletti. Io non dico che sia veritiero quello depositato alle banche perché in questo bilancio generalmente si esaltano la forza e i guadagni dell’azienda: c’è comunque anche questo bilancio. Sicché l’apparato bancario è in possesso di strumenti reali di conoscenza, o almeno di un elemento decisivo della effettiva consistenza dell’azienda.

Ma ci sono casi più particolari. È da anni in corso una delle pratiche maestre per l’occultamento dei grossi redditi.
Un capitalista deposita, mettiamo, un miliardo in banca e accende un debito presso la banca di un miliardo, garantito dal miliardo in contanti che ha depositato. Sul miliardo in contanti depositato prenderà il 7%; sul miliardo preso in prestito pagherà il 12%. La differenza è a suo carico. Però del suo debito presso la banca fa testo nella sua denuncia fiscale, del suo credito no, perché il suo credito è protetto dal segreto bancario: le conseguenze per l’evasione fiscale sono enormi.

Onorevole Giolitti, ella sa benissimo che quando lei e io abbiamo parlato di abolizione del segreto bancario siamo stati oggetto, anche personalmente, di un linciaggio fomentato ad arte; perché come al solito i grossi mettono i piccoli davanti a loro, come i gangster americani e dicono: se volete sparare, sparate prima sulle donne e i fanciulli e poi su di noi. Hanno messo avanti i piccoli risparmiatori che depositano uno, due o tre milioni in banca (e che non hanno nulla da temere perché si tassa l’interesse e non il deposito) e gli hanno detto: badate che vi vogliono tassare. Questo per difendere se stessi.

Onorevoli colleghi, la riforma tributaria predisposta dal ministro Preti sarà buona, sarà cattiva, ne potremo discutere quanto vogliamo, però di una sola cosa sono certo: che una riforma fiscale che non passi attraverso la visibilità e la volontà di vedere come funziona l’apparato bancario, non funzionerà mai in Italia. Questo sia col sistema vecchio, sia col sistema nuovo che si inaugurerà. Funzioneranno meglio alcune cose, peggio altre; però se non penetriamo oltre questa cortina che si interpone tra le aziende, tra i patrimoni privati, tra i redditi privati e i redditi societari, e la mano pubblica e il governo per vedere non dico tutto ma almeno qualche cosa rispetto al niente che vediamo adesso, se non frantumerà questa cortina, o almeno se non si allargheranno le maglie, non credo che la riforma fiscale sarà una cosa seria e operativa. Ci troveremo in situazioni diverse, ma altrettanto complicate e difficili da superare di quanto non siano quelle di oggi…

…Non possiamo più ammettere che l’apparato bancario che si compone di molti elementi appaia al pubblico come una rocca inaccessibile e impenetrabile ma altrettanto irresponsabile. Il guaio è che appare come una rocca di cristallo e invece nella migliore delle ipotesi è una rocca di pietra pomice. Direi che appare come un concilio di sapienti che sanno alcune cose importanti che la gente comune ignora perché le cose della moneta sembrano difficili mentre in realtà non lo sono. Sono soltanto sofisticate e per ciò appaiono difficili. Ma noi questa rocca inaccessibile, questa irresponsabilità garantita dalla non visibilità non la possiamo più tollerare. Ha fatto troppi danni…

…Credo che uno dei pochi metodi, uno dei pochi canali attraverso cui possa essere proposto nella nostra società il discorso sulle riforme, e sulle riforme realmente incidenti – assorbibili, sì certo, ma bisogna vedere a che livelli, come, a quali costi, e generatrici di quali altre riforme – consisteva in un discorso che passa anche, e non dico esclusivamente, attraverso la volontà di aggredire, e dico aggredire non in senso offensivo, ma nel senso di mettere le mani, di esercitare la nostra presa su qualche cosa che fino a oggi ci è sfuggito, o su cui abbiamo potuto agire soltanto sommariamente. Si tratta di una superficie che quando noi abbiamo voluto afferrare, abbiamo trovato viscida, anche perché coperta e tutelata da connivenze immense, e anche da connivenze di governo (e non parlo di questo governo soltanto) e da solidarietà molto più estese di quanto non si immagini, di interessi privati e di interessi cosiddetti pubblici. Bisogna rompere questo incantesimo, rompere questa mistificazione.

* Stralci dal discorso alla Camera dei Deputati pronunciato nella seduta del 22 ottobre 1970. In: “Riccardo Lombardi: scritti politici 1963-1978. Dal centro-sinistra all’alternativa”, Marsilio Editori, 1978, II edizione 1980, pagg. 300

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