La strana “guerra” Roma-Milano sulle Olimpiadi

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-di ANTONIO MAGLIE-

In questo paese fantastico anche le cose più serie vengono trasformate in barzelletta. Figuriamoci cosa può accadere quando sono in ballo questioni che in linea di massima non incidono direttamente (o, meglio, immediatamente) sulla vita quotidiana delle persone. Prendiamo le Olimpiadi. Da un lato, a Roma, c’è un sindaco, pardon, una sindaca, Virginia Raggi, per molti aspetti una discendente diretta di Amleto, che non le vuole ma preferisce non dirlo ufficialmente aspettando l’incontro con il presidente del Coni, Giovanni Malagò entusiasta per il “bottino” di medaglie conquistato a Rio (peccato che nella disciplina regina, l’atletica, non ne strusciamo una dai tempi di Pietro Mennea, Sara Simeoni e Alberto Cova o giù di lì e che negli sport di squadra o non ci qualifichiamo, come nel caso del basket e del calcio, o arriviamo solo “primi fra gli ultimi”, cioè medaglia d’argento) che si svolgerà a metà settembre. Dall’altro c’è il presidente di una regione, il sassofonista Roberto Maroni, che, pur non avendo titolo a proporre alcunché riguardando la cosa, semmai, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, avvia tramite Facebook un sondaggio informale per capire se i cittadini di Milano sarebbero favorevoli a scalzare nel 2024 la “capitale legale” a vantaggio di quella morale.

Lo scrittore italo-americano, John Fante, quando mise piede nella terra dei suoi antenati, rimase colpito dal nostro stile di guida automobilistico e con sottile e malcelata ironia lo definì “creativo”. Riesce difficile immaginare l’aggettivo che userebbe se, risorto a nuova vita, tornasse dalle nostre parti e si imbattesse in questo straordinario ingorgo politico-sportivo. È vero che la rivalità tra Roma e Milano è decisamente antica ma in questo caso sembra scivolare sul piano inclinato dell’opportunismo di bassa lega. Se proprio la città di Milano (valutazione che non compete, comunque, a Maroni) vuole candidarsi alle Olimpiadi lo faccia pure ma tenendosi alla larga dalla data scelta dal comitato organizzatore che ha proposto Roma perché quella “sovrapposizione”, seppur sotto forma di sondaggio informale, ha tutte le caratteristiche di uno sberleffo non proprio di grande qualità istituzionale.

Per quanto riguarda l’amletica Raggi, al di là degli incontri con Malagò, forse farebbe bene a chiudere questa vicenda anche perché una città come Roma, una Capitale, non può far ruotare il suo dibattito intorno a una questione che, per quanto da alcuni ritenuta rilevante, non risolve nessuno dei problemi dei suoi cittadini. Problemi a cui, peraltro, farebbe bene a non interessarsi Beppe Grillo che dalla sua bella casa genovese o da una delle ville di sua proprietà ci racconta che Roma è finalmente pulita. Come faccia a esserne così convinto, è un vero e proprio mistero della fede. Però i romani hanno diritto a un minimo di rispetto e con i problemi della città (che non sono stati certo creati dalla Raggi) fanno quotidianamente i conti, ventiquattro ore su ventiquattro e non hanno bisogno di una villa in Liguria o di una casa in Svizzera per sapere che da un punto di vista igienico e del decoro siamo lontani non da un livello di eccellenza, ma di pura e semplice decenza. Non commetta, insomma, lo stesso errore di certi renziani che intenti ad accettare come verità assolute le intuizioni del capo travisano la realtà finendo per rendere se stessi e il proprio leader non particolarmente popolari.

In più decidendo immediatamente, la Raggi ci risparmierebbe alcune affermazioni a dir poco singolari. Prima di partecipare a un dibattito organizzato all’interno della “Festa del Fatto Quotidiano”, avrebbe detto rivolgendosi a un interlocutore: “Nelle scuole lo sport si pratica solo un’ora a settimana, le sembra normale? E poi parliamo di Olimpiadi?”. Cosa c’entra l’atavica assenza dell’attività sportiva dai piani formativi con i Giochi? Assolutamente nulla. Semmai, c’entra molto di più con un sistema scolastico da riformare seriamente e che, come è noto, non ha mai avuto come punto di riferimento il modello anglosassone che considera lo sport uno strumento educativo. Il sociologo Franco Ferrarotti negli anni passati parlava, e non a caso, di una “cultura dei visi pallidi” riferendosi alla scuola italiana. Semmai la questione di quell’ora tira in ballo un altro problema che è figlio di un compromesso che risale a molti decenni fa: perché mai in Italia lo sport di base deve essere gestito dal Coni che, come dice il suo acronimo (Comitato Olimpico Nazionale Italiano) avrebbe tutt’altra ragione sociale, cioè la preparazione olimpica, quindi lo sport di vertice? Perché mai di tutto questo (con la conseguenza di spese enormi per le famiglie ma buoni introiti per chi sguazza nell’affare) non se ne occupa lo Stato attraverso la scuola, appunto? E perché mai le palestre mancano nelle scuole pubbliche mentre abbondano in quelle private?

Ma tutto questo con le Olimpiadi, con i rischi finanziari legati ai Giochi, con le urgenze della città che non si risolvono certo ospitando una gara sui cento metri piani o una avvincente sfida di badminton, cosa ha a che vedere? Nulla, proprio nulla. Decida, allora, la Raggi evitando di trascinare ancora per settimane una questione che affascina ed entusiasma solo pochi addetti ai lavori ma non i romani che, invece, al ritorno dalle vacanze (la città è ancora abbastanza vuota) dovranno fare i conti con i soliti problemi, dal traffico da girone infernale alla dannazione di trasporti pubblici che trasformano tempo e attese in una vera e propria condizione (malsana) dello spirito.

antoniomaglie

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