– di FRANCESCA VIAN –
Nel settembre del 1946, un gruppo di partigiani armati si riunisce poco lontano da Asti, col pensiero di attentare allo stato. Pietro Nenni e Sandro Pertini promuovono il dialogo, mentre da tutte le parti (anche a sinistra) infuria la più intransigente richiesta di pugno di ferro. Fra le voci che si levano per denigrarlo, Pietro Nenni, vicepresidente del Consiglio e ministro senza portafoglio, deve giustificare la linea di dialogo, all’Assemblea Costituente, il 21 settembre 1946.
“Ecco perché, signori, invece di fare semplicemente appello al feticcio insanguinato dell’autorità dello Stato, concepito come un puro rapporto di forze materiali, noi abbiamo in quel momento fatto appello alla ragione, al sentimento, alla fede democratica di coloro stessi che si erano posti in agitazione. (…) Signori, io penso che la democrazia si onora, quando fa appello agli argomenti della ragione piuttosto che a quelli della forza (…). Io non credo signori che ci sia stata in questa occasione né umiliazione della autorità dello Stato (Una voce in aula interrompe: ‘Che non c’è più!’) né diminuzione del prestigio del Governo. C’è stato un Governo che è andato fraternamente incontro a coloro che stavano per commettere un grave errore e che ha impedito loro di compierlo (…). L’episodio (…) dimostra agli occhi miei una cosa sola: che c’è un’autorità morale del Governo democratico più valida ed efficace della forza materiale”.
L’inchiostro di Nenni ha così tanto parlato di sangue in tempi diversi, in cui il sangue valeva poco a chi governava. La “Camera insanguinata” uccise Matteotti, Mussolini è un “idolo insanguinato”, “l’insanguinata civiltà” (8 maggio 1921). Nenni ripropone il suo “insanguinato”, dall’altra parte della barricata, nella splendida immagine del “feticcio insanguinato”, con un’idea positiva: non insanguiniamo anche noi le tensioni sociali, nascosti dietro l’autorità dello stato, e cerchiamo di comprendere invece ciò che ha provocato il disagio. Silvano Labriola, nell’introduzione ai discorsi parlamentari di Nenni, sottolinea più volte questa “cultura, profondamente umana e politicamente impegnativa” di Nenni sottesa all’immagine del feticcio insanguinato: “L’idea di risolvere queste questioni con il braccio armato della legge, e se occorre con l’inasprimento della legge, con la risorsa delle leggi eccezionali, viene respinta come una pericolosa illusione, o una appena dissimulata manovra conservatrice e reazionaria” (Silvano Labriola, 1983).
Era trascorso solo qualche anno da quando, molto lontano nello spazio, un uomo esile e provato nel fisico, camminò appoggiato al bastone per 380 km, con un secchiello in mano, e prese l’acqua dell’oceano, per cavarne il sale. In tutte le manifestazioni concomitanti alla marcia del sale di Gandhi, nessuno si riparò la testa dai colpi degli sfollagente della polizia, ma l’Inghilterra perse, davanti agli occhi del mondo, ogni autorità morale.
Ho trovato in Nenni numerosi concetti rivoluzionari, ma “il feticcio insanguinato dell’autorità dello Stato” – espresso in Parlamento e non nelle piazze – mi sembra uno dei maggiori. Uno scenario che sostituisca l’autorità con il dialogo, dove possibile, anche nei microcosmi dello stato, può fare solo bene alla società civile. Deve essere lo scenario atteso. Uno stato che rinunci alla forza che è in potere di esercitare legalmente è lo stato della vittoria.
Nella scuola, per esempio, non si devono dare note agli studenti. Qualcuno può pensare che il paragone sia ridicolo: se spremi una nota non esce sangue. Si tratta invece di un controllo dell’aula violento, arbitrario, autoritario, che interrompe il dialogo. O si riesce a tenere la disciplina “a mani nude” (come scrive Eraldo Affinati, in quel capolavoro che è “L’elogio del ripetente”), oppure si cambia strategia. Del resto, vi sono docenti che alimentano con le note delle vere baraonde, fino al paradosso di sassi tirati sulla finestra dietro la quale la docente – fuori servizio – riordinava le sue note. Rispondere a una provocazione con una nota, significa ignorare il problema che ha generato la provocazione, far sì che il suo malessere covi azioni ancora peggiori della provocazione stessa. Le note sono solo una delle forme di terrorismo, esercitate nei banchi di scuola, destinate a massacrare la fiducia nelle istituzioni dei giovani.
“Si tratta di creare nuovi rapporti sociali”, ha scritto Nenni. Potrebbe essere una rivoluzione. Ma se lo stato usa solo la forza materiale, allora sì, quell’autorità è un “feticcio insanguinato”. Allora la corona di ulivo e di quercia che circonda lo stemma della nostra repubblica diventa una corona di spine, come la tratteggia il grande Giuseppe Scalarini, in tempi ben più duri di questi (Avanti! 30 novembre 1913, scalarini.it).
Alla prossima con lo “scavatore di pozzi”. francescavian@gmail.com
Quello che andava bene all’epoca di Nenni,e ora nella scuola, non è la stessa cosa per il momento attuale. Ora il mondo deve difendersi e certo non riesce con il dialogo Licia
E’ , davvero, una puntata interessante ed impegnativa questa, che ci propone Francesca Vian.
Come sempre, Nenni si dimostra straordinario nel pensiero e nell’uso del linguaggio.
“Creare nuovi rapporti sociali” non sarebbe un’utopia , se , davvero, non si usasse solo la forza materiale .
Il riferimento alla scuola è interessante, perché l’educazione ai sentimenti, alle emozioni, alla ragione parte proprio da lì. Grazie a Francesca Vian.
Il dialogo è una modalità comunicativa. Non è un “fine”, ma un “mezzo”. Non è facile utilizzarlo per risolvere conflitti tra persone e istituzioni.
Il ricorso ad altri mezzi (autoritarismo, repressione) è quasi sempre da considerare come “sconfitta”. Il giudizio sull’efficacia va sempre riferito non alla qualità intrinseca del rapporto comunicativo, ma alla sua capacità di produrre esiti positivi rispetto al fine da perseguire.
I contenuti del discorso di Nenni alla Camera e la corrispondenza con le “note” a scuola richiamati da Francesca in questa puntata, sono esempi molto significativi.