Usa, quando il reduce diventa stragista

baton

 

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Tre poliziotti uccisi a Baton Rouge, in Lousiana. Solo 10 giorni dopo l’omicidio dei cinque agenti ad opera di Micah Johnson a Dallas. Un’estate così non si vedeva dal 1968. Da quando, dopo gli assassinii di M.L. King e del senatore Robert Kennedy – vicino alla nomination democratica – la Convention di Chicago fu stravolta dagli scontri tra studenti, attivisti e polizia.

Moventi simili e profili ancora più spaventosamente uguali. Johnson ha iniziato a sparare sugli agenti nel corso di una manifestazione contro le violenze della polizia sui neri. Aveva 25 anni e viveva a Dallas. Era un militante dell’esercito americano. Un soldato semplice. 

Il killer di Baton Rouge si chiama Gavin Long. Anche lui era un uomo in divisa. Un ex marine che ha lasciato nel 2010. Anche lui sul suo profilo facebook si era lamentato per il trattamento degli afroamericani da parte della polizia.

Questi assassini, prima di diventare tali, erano reduci. In America, statistiche alla mano, preoccupa molto il grande numero di reduci finiti nei guai con la giustizia dopo essere rientrati in patria. Storia già vista. Negli anni 70 quando molti soldati tornati dal Vietnam iniziarono a delinquere. In America le cifre sfiorano i più di 300 reduci di Iraq e Afghanistan condannati per omicidio. I più hanno un’età compresa tra 23 e 27 anni, sapevano usare le armi e non riuscivano a trovare un lavoro. Mentre dal Pentagono negano ci possa essere un collegamento, resta il fatto che molti soldati, una volta tornati dalla guerra soffrono di depressione post- traumatica e non riuscendosi a riadattare alla società civile diventano persone pericolose.

Il disturbo post- traumatico da stress, volgarmente definito “sindrome Vietnam”, poiché colpiva in gran numero i soldati ritornati in patria dalla guerra del Vietnam ha dei sintomi che si manifestano solitamente dopo periodi di tempo variabili a seconda del soggetto che ne soffre, con alcune peculiarità. La “riesperienza del trauma” è il sintomo cardine. Consiste in un insieme di ricordi e sensazioni così intensi e realistici da dare al paziente la netta sensazione di rivivere il momento “catastrofico”. Solitamente si manifesta quando il soggetto si trova in situazioni che rievocano in qualche modo quel momento già vissuto o in situazioni senza attinenza. Può bastare solo un odore, un colore o un suono. Si manifesta inoltre un appiattimento affettivo, uno stato di allerta costante e una perenne paura, quasi immobilizzante, di rivivere il trauma.

 

Stando a uno studio pubblicato nell’ultimo numero della rivista “Archives of General Psychiatry” la “Sindrome Vietnam” risulta che i più colpiti della malattia mentale erano i veterani che avevano visto più morti battaglia ed i più giovani. In realtà la sindrome post- traumatica da stress era stata diagnosticata ancora prima della guerra del Vietnam. Era conosciuta da diversi medici sotto il nome di “Da Costa’ s Syndrome”, da Jacob Mendez Da Costa un medico di origini portoghesi.  Nel 1871 espose in un libro le sue “osservazioni sui disturbi fisici e mentali durante un periodo di stress” soprattutto sui soldati coinvolti in azioni particolarmente “cruente e paurose”. Dettagliate descrizioni di questa malattia mentale ci sono anche in documenti medici sulla Seconda guerra mondiale e su studi clinici che riguardano sopravvissuti dell’Olocausto. Solo quella guerra del Vietnam però la malattia venne codificata come tale. Nel 1988 il 15,2% dei reduci del Vietnam è stato colpito in forma grave e cronica dalla sindrome e circa il 30% dei combattenti.

Questi disturbi psichiatrici possono far arrivare colui che ne soffre addirittura al suicidio. Solo nel 2005, ben 6.256 giovani tornati a casa si sono tolti la vita. Le morti per suicidio risultano esser più alte delle morti in combattimento. In USA 2,5 milioni di maschi sono «reduci» di qualche guerra, e 1,6 milioni dalle guerre in corso in Asia. Inoltre un’altra indagine recente ha mostrato che, fra i senza-casa che ogni notte fanno la fila per i dormitori delle organizzazioni caritative o per le mense dei poveri, i reduci sono uno su quattro – il 25% del totale degli homeless.

Per quanto l’amministrazione americana spenda 650 miliardi di dollari per la riabilitazione dei feriti è innegabile che manchi un sistema di previdenza per alcuni tipi di feriti che non si vedono ma non per questo fanno meno male. La dottoressa Eva Kanter, dei Phisicians for Social Responsibility ha affermato che “Mentre si dibatte senza fine se stiamo vincendo in Iraq, centinaia di migliaia di soldati e le loro famiglie cadono nel suicidio, o sono destinati a lottare per tutta la vita con ferite psichiche o fisiche che sono tutto ciò che hanno guadagnato dalla guerra”.

Il problema degli omicidi è solo la punta dell’iceberg. Il problema va affrontato alla radice, mentre Donald Trump dopo l’agguato in cui sono morti tre agenti a Baton Rouge esige che in America siano ristabilite le leggi e l’ordine, intascando consensi, dimenticando e accantonando una vera piaga sociale.

 

 

 

 

 

 

 

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

Rispondi