Donne che preferivano “morire in piedi”

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-di VALENTINA BOMBARDIERI-

La storia ogni tanto va guardata anche da dietro le quinte, dalla porta di servizio. Oggi, anniversario dell’inizio della guerra di Spagna, ricordiamo anche quelle donne militanti, antifranchiste che insieme con altre fino al settembre del 1936 furono sulle barricate con i fucili accanto ai miliziani. Donne che quando venne deciso di passarle nelle retroguardie abbandonarono il fronte.

Julia Manzanal, si faceva passare per uomo fasciandosi i capelli e nascondendosi il seno. Commissario politico del Batallòn “Comuna” de Madrid, si faceva chiamare “Chico”. Venne arrestata e condannata a morte.

Soledad Real, dirigente della Juventudes Socialistas Unificadas de Cataluna. Assistette con le compagne i feriti durante i terrificanti bombardamenti di Barcellona. Terminata la guerra fece nove mesi di campo di concentramento in Francia e, ritornata in Spagna, passò attraverso sedici carceri.

Juana Dona, militante del Partido Comunista Espanol, nel 1947 venne condannata a morte, venne detenuta in 18 differenti carceri spagnole.

Teresa Moràn, militante dei raggruppamenti di Mujeres Antifascistas de Valencia. Condannata al carcere nel 1944, vi rimase per quattro anni.

Antonia Fontanillas, militante anarchica delle Juventudes Libertarias de Artes graficas de Barcelona. Esperienza di carcere e di esilio. Fu partecipe sempre degli eventi relativi alla rivoluzione sociale spagnola.

Petra Cuevas, militante del Partido Comunista Espanol e presidente del Sindacato de Modistas si occupò del confezionamento delle uniformi militari.  Sette anni in carcere.

Molte altre donne le accompagnarono, donne coraggiose, donne con la volontà di porsi in prima linea. Rosario Sanchez Mora, chiamata “la dinamitera”, che partì per il fronte a 17 anni; Julia Vigrè Garcia, militante del PSOE, con esperienze di carcere e di esilio; la miliziana Carmen Espanol, vedova di Francesco Scotti commissario politico in Spagna, poi esponente della Resistenza piemontese, e ancora la scrittrice Ana Maria Moix, la poetessa Ana Rossetti, la storica della guerra civile Fernanda Romeu, la giornalista Dolores Sergueyeva Ruiz della Fundaciòn Dolores Ibàrruri, la docente di storia contemporanea e parlamentare detta “La Pasionaria”.

Donne che combatterono per essere Donne libere. Cittadine. Esseri umani. Riuscirono ad acquisire diritti e doveri solo nel 1931 con l’approvazione della Costituzione. A 23 anni potevano votare, potevano lavorare senza alcun tipo di discriminazione in qualsiasi ufficio pubblico, erano diventate uguali agli uomini. La polemica sul lavoro salariato delle donne attraversò in quegli anni diversi settori dell’opinione pubblica e delle forze politiche. La posizione dominante era quella di mostrarsi contrari alle attività remunerate delle donne fuori dalla casa, soprattutto se si trattava di donne sposate.

Volevano costruire una democrazia all’avanguardia rispetto al panorama dell’epoca. Nel 1932 fu approvata e promulgata la legge sul divorzio.

La guerra civile spagnola ha trasformato la vita delle donne spagnole. Ha dato loro una maggiore autonomia di movimento e decisione. Nonostante le dure condizioni di vita, molte donne vissero la guerra civile come una esperienza emozionante che permise loro di sviluppare il loro potenziale in una società spagnola ancora molto arretrata. Combatterono il fascismo, davanti e dietro le quinte. Costruirono barricate, curarono i feriti e organizzarono i lavori d’ausilio e d’assistenza infantile. Con il lavoro volontario rifornirono i soldati di uniformi, di capi di vestiario e dell’equipaggiamento necessario per la guerra. Altre ancora ruppero completamente con il loro ruolo convenzionale e parteciparono attivamente alla guerra come miliziane, impugnando le armi e combattendo.

Le donne spagnole imposero la loro voce. La partecipazione delle donne alla politica aumentò durante la guerra, e per la prima volta, collettivamente cominciarono ad interessarsi al dibattito politico di quel periodo.  Donne politicizzate ma anche emarginate da ogni dinamica sociale.  Donne unite in un solo grido, il grido di Dolores Ibàrruri: “Meglio morire in piedi che vivere in ginocchio! No pasaran!”.

Valentina Bombardieri

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