“Non intendo candidarmi, né fare politica in prima persona. Intendo occuparmi dello sviluppo delle applicazioni di democrazia diretta del Movimento 5 Stelle in rete affinché tutti i cittadini possano fare politica”. Davide Casaleggio con una intervista al “Corriere della Sera” ha voluto fornire all’universo questa decisiva informazione. Senza incidere sul suo ego (non sappiamo se più o meno smisurato), sembra opportuno sottolineare che veramente in pochi in questa Italia si sono posti nelle ore del dopo-voto questo problema. Anche perché, va detto con sincerità e fuori dalla retorica del momento, non sono stati i candidati a fare la fortuna del Movimento 5 stelle, ma la condizione generale. Virginia Raggi e Chiara Appendino sono state sicuramente delle scelte felici ma nessuno sa ancora se saranno in grado di assolvere al ruolo di sindaco con capacità ed efficacia. Il voto è stato in larga misura la conseguenza di un’onda emotiva. La percezione del degrado delle vecchie élite governanti presso l’elettorato ha raggiunto livelli così elevati che si ha l’impressione, con tutto il rispetto per le elette, che se anche fosse stato presentato il Gabibbo, il Movimento 5 stelle avrebbe trionfato ugualmente. Davide Casaleggio dice che si dedicherà al “sogno di papà”: la democrazia diretta attraverso la rete. Ma lui sa bene (e lo dicono tutti gli esperti del settore) che non c’è nulla di più manipolabile della rete per quanto frequentata attraverso una piattaforma dal nome culturalmente impegnativo, Rousseau (il contratto sociale, tanto per intenderci). E la stessa idea di democrazia diretta un po’ entra in rotta di collisione con il contratto (decisamente non sociale) fatto firmare alla Raggi e le cui clausole vengono garantite anche da una robusta sanzione pecuniaria. Alla fine, dall’intervista di Casaleggio si trae una sola chiara conseguenza: in questo Paese è meglio essere “pupari” che “pupi”.