-di ANTONIO MAGLIE-
Per fortuna è finita. Perché a questo punto contano solo i dati delle urne. Di questa campagna elettorale (e di tante altre che l’hanno preceduta) non sentiremo la mancanza: se ne è andata come certi lontani parenti fastidiosi, petulanti e anche un po’ maleducati, accompagnati dal cordoglio formale e da un senso di sollievo sostanziale. Abbiamo toccato con mano il degrado della politica che non riguarda soltanto i livelli etici (decisamente bassi) ma anche i modi, le forme, le espressioni, il rispetto delle regole di bon ton istituzionale.
Abbiamo assistito a tutto e al contrario di tutto. A un presidente del Consiglio che prima ha trasversalmente partecipato e poi, dopo i deludenti risultati del turno iniziale, si è ritirato lasciando sul campo, però, importanti ministri del suo governo che telefonata dopo telefonata hanno finito per svilire la propria funzione istituzionale, per abbandonare le vesti di “grandi riformatori” delle regole di base (quelle costituzionali) per dedicarsi alla bassa cucina, quella da street food che, peraltro, con talune pietanze può raggiungere anche nobili livelli (ma non è questo il caso).
Abbiamo avuto una opposizione che ha trasformato incongruamente la competizione amministrativa in un sondaggio di massa sul governo, confondendo piani che in una logica corretta dovrebbero rimanere distinti, trovando di fatto una sponda nello stesso governo che a sua volta ha deciso di fare del referendum più nobile che possa esistere (quello sulla costituzione) l’atto fondativo (o rifondativo) della sua legittimità; in pratica, un plebiscito.
Abbiamo assistito da un lato all’esaltazione della strumentalizzazione partitica (Salvini che dichiara di votare i candidati del Movimento 5 stelle per mettere in minoranza nel paese l’attuale maggioranza in Parlamento) e dall’altro, per necessità di bottega, al ridimensionamento della qualità del voto: solo una scelta amministrativa come se gestire una città come Roma o Milano o Torino o Bologna non fosse cosa diversa dalla gestione di un condominio. Dimenticando, così, che sempre di politica parliamo, su orizzonti diversi ma non per questo meno rilevanti, anzi quanto più si è a contatto con la gente, tanto più il confronto delle idee (cioè la politica) diventa vitale. E, comunque, dimenticando il presidente del Consiglio che a quel posto, cioè a Palazzo Chigi, ci è arrivato da sindaco di Firenze, facendo leva anche sulle capacità di governo (quindi politiche) dimostrate nell’amministrazione di quella città.
Le “amnesie” che sono state rinfacciate alla Raggi, candidata a Roma, sono in fondo derubricabili sotto la voce “peccati veniali”. Ma la signora è vittima di sé stessa perché quei peccati assumono un carattere “capitale” nel momento in cui vengono valutati in relazione al grado di trasparenza che il Movimento 5 stelle dichiara di voler perseguire. Si può anche presumere di razzolare sempre bene in riferimento alla propria pubblica predicazione ma poi capita che qualcuno (i famosi puri che ti epurano) ti contesti e sveli comportamenti in contraddizione con i sermoni urlati sulla pubblica via, semmai anche sottolineando la pagliuzza nell’occhio altrui e sorvolando sulla trave nel proprio.
Se i cittadini si attendevano un segnale di rinnovamento, almeno nelle forme (che in politica contano non come la sostanza ma quasi) è rimasto deluso. La cultura del “vaffa-day” che tanti successi ha regalato a Beppe Grillo è diventato un denominatore comune del quadro politico e tutti hanno contribuito al degrado attraverso insulti, scarso rispetto per i ruoli istituzionali, delegittimazione aggressiva se non proprio violenta dell’avversario. La logica conseguenza è il rifiuto di un confronto serio sulle proposte e la trasformazione dei dibattiti in piccoli show da prima o seconda serata. Godono i media, molto meno gli elettori che voteranno sull’onda di una emozione (?) non di una riflessione.
Nessuno dei candidati ci ha spiegato come intende non semplicemente chiudere un po’ di buche (esercizio peraltro meritorio soprattutto per chi circola in moto), ma in quale maniera pensa di costruire una nuova idea di comunità fatta di rispetto delle regole, di solidarietà, di ascolto, di tollerante condivisione di obiettivi comuni, di senso civico, di rispetto per ciò che di maggior valore abbiamo che non è la “roba nostra” ma il patrimonio collettivo.
A Roma le Olimpiadi sono diventate la discriminante: ma per quanto possano essere un evento di grande rilievo, non possono diventare lo strumento che definisce e illustra la qualità della politica. Abbiamo assistito per mesi (ben oltre le ufficiali scadenze della campagna elettorale) alla messa in scena di un disordinato e spesso volgare spettacolo circense, con tanto di belve feroci, domatori muscolosi e animali ammaestrati. Chi vincerà ovviamente esulterà ma non si illuda: quella vittoria non gli regalerà una società migliore perché alla fine di questa campagna elettorale siamo tutti un po’ peggiori.