Libri. Cinquantottini, generazione riformista

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C’è stato un periodo nella storia d’Italia in cui le riforme si facevano e non ci si limitava a proclamarle o ad annunciarle. Dietro quelle riforme ci fu una classe dirigente nata tra il 1925 e il 1940, cresciuta nelle organizzazioni goliardiche e animata dal desiderio di trasformare profondamente un’Italia che attraverso il boom economico stava uscendo dalla miseria ma che cercava al tempo stesso di dare un carattere più moderno e laico a una società troppo condizionata dalle rigidità ideologiche delle due chiese che si confrontavano nelle competizioni elettorali, la Dc e il Pci. Vittorio Emiliani nel libro “Cinquantottini” descrive la parabola di quella generazione che riuscì a utilizzare lo sviluppo economico per sanare alcune delle contraddizioni che rallentavano la imodernizzazione del paese ancora agli inizi degli anni Sessanta. Una storia di uomini che si intreccia con le vicende politiche del centro- sinistra e che si collega a grandi conquiste sociali come ad esempio lo Statuto dei lavoratori il cui estensore, Gino Giugni, di quella generazione fu esponente di rilievo. Il libro, edito da Marsilio, sarà presentato domani su iniziativa della Fondazione Nenni nella sede della Uil a Roma in via Lucullo 6. Alla presenza dell’autore, Vittorio Emiliani, autorevole giornalista, direttore del quotidiano romano “Il Messaggero” dal 1980 al 1987, discuteranno Alberto Benzoni, ex prosindaco di Roma, Pierpaolo Bombardieri, segretario organizzativo della Uil, Peppino Loteta, Silvano Miniati e il Presidente della Fondazione Nenni, Giorgio Benvenuto. Lo stralcio del libro che qui pubblichiamo offre un piccolissimo spaccato dell’opera di Emiliani.

-di VITTORIO EMILIANI-*

Nascono l’Ugi, l’Intesa e l’Unuri

Subito dopo la Liberazione l’associazionismo studentesco, soprattutto quello laico ma anche quello cattolico entra, o ri-entra, in scena come palestra di democrazia e come scuola di formazione politica. In quell’Italia dove non esiste nulla di paragonabile alla grandes écoles francesi, un ruolo formativo viene sollecitato e parzialmente assunto in modo sempre consapevole dalle stesse associazioni, dall’Unione goliardica e dall’Intesa, più tardi dal Fuan per il neofascismo. Conviene pertanto ricostruire, con un minimo di ordine, la cronaca o la cronistoria.

Va ricordato innanzitutto che all’origine dell’Ugi (Unione goliardica italiana) la più nuova delle associazioni studentesche, c’è una dichiarazione dei principi della goliardia a Venezia nel 1946 con il seguente manifesto: <Goliardia è cultura ed intelligenza. È amore per la libertà e coscienza delle proprie responsabilità sociali davanti alla scuola d’oggi e alla professione di domani. È culto dello spirito che genera un particolare modo di intendere la vita alla luce di un’assoluta libertà di critica: senza alcun pregiudizio di fronte ad uomini ed istituti. È infine culto delle antichissime tradizioni che portarono nel mondo il nome delle nostre università di Scholari>.

A elaborarlo è soprattutto un <anziano> studente, presto assistente di Giurisprudenza, dotato di eccellente cultura storica, il bolognese Guido Rossi detto <Bobo>. Classe 1916, quindi già trentenne, Rossi è un giovane cordiale, iconoclasta, sorridente, e in realtà si è
n realtà si è laureato nel 1939, ma rimane ancora nella politica studentesca prima di avviarsi alla carriera universitaria quale apprezzato studioso di storia del diritto italiano. Una sorta di giovane Falstaff petroniano, allegro, trasgressivo e poetico insieme che redige anche un documento sugli Statuta Goliardica dettati dai Principi della Goliardia riuniti a Bologna nel 1946, con uno splendido incipit che recita: <Questo libretto è fatto per noi; per noi che crediamo a quanto esso contiene; per noi che, ridendo, mordiamo senza svillaneggiare alcuno; per noi che amiamo tutti; per noi che siamo figli di principi e contadini>, e prosegue <Amiamo il vino perché il diluvio ha dimostrato che tutti i malvagi sono bevitori d’acqua>. Con Rossi, gran motociclista, bon vivant, condivide e sottoscrive quel manifesto un gruppo di universitari di area laica, liberale, o azionista, in senso lato. I liberali passeranno in forze al movimento dopo l’avvento alla segreteria del Partito liberale dell’onorevole Giovanni Malagodi il quale, sostenuto, secondo il gruppo del <Mondo>,
dall’Assolombarda, imprime oggettivamente una decisa sterzata a destra al Pli. Altri faranno parte dell’area socialdemocratica e socialista. Anche se, in quegli ultimi anni quaranta, gli universitari più strettamente socialisti risultano ancora invischiati nel Cudi (Centro universitario democratico italiano), egemonizzato dai comunisti.

Fra i fondatori dell’Ugi – sulle cui origini peraltro esiste soltanto in parte una storia ragionata, organica – ci sono personaggi quali Franco Roccella (1924), siciliano di Riesi (Caltanissetta), studente di Legge a Bologna – che poi, anche a livello parlamentare, pendolerà, fra l’area radicale e quella socialista -, Sergio Stanzani Ghedini (1923), proveniente da una delle famiglie notabili di Bologna, ingegnere, dirigente dell’Iri, liberale e poi radicale, Adriano Morosetti (1924), sanremese ma studente di Legge a Pavia e presidente molto amato della tradizionale associazione goliardica pavese, l’Asup (politicamente Morosetti era di aerea socialdemocratica). Anche lui dal fisico e dall’allegria prorompenti. Altri fondatori dell’Ugi appartengono alla travagliata aerea socialista, fra Psiup e Psli, e sono Giulio Chiarugi , fiorentino, laureato in Medicina, Giorgio Festi, altro bolognese, futuro imprenditore, e il triestino Oberdan Pierandrei. Tutti e tre non frontisti. Al pari di Brunello Vigezzi (1930), nato vicino a Luino, studente a Milano, futuro storiografo, studioso fondamentale del Settecento e del riformismo socialista, in particolare di Filippo Turati e Anna Kuliscioff nel periodo giolittiano. Sergio Castriota (1929), messinese, manager, in Montedison per decenni, rimarrà in un’area squisitamente liberal.

Per verità storica, tuttavia, un primissimo tentativo di associazione goliardica è stato già proposto nel dicembre 1945, richiamandosi alla prefascista Unione goliardica per la libertà, nata il 23 marzo 1924, la prima associazione studentesca antifascista, di cui hanno fatto parte Leone Cattani (all’epoca popolare, vicepresidente della Fuci, nel secondo dopoguerra invece liberale, sia pure di matrice cattolica, e in seguito radicale), Mario Paone (socialista riformista), Giovanni Lettore (socialista massimalista), Carlo Ciucci (esponente di «Rivoluzione liberale», poi il solo fascista del gruppo), e Giorgio Amendola autoproclamatosi rappresentante degli studenti medi. Associazione che sarà stroncata dal regime mussoliniano dopo aver seminato e radicato le idee di libertà. Nel 1924, prima di venire soppressa, l’Unione goliardica per la libertà figura fra i firmatari del manifesto antifascista di «Rivoluzione liberale di Piero Gobetti, promotore a Torino di quella prima Unione goliardica.

È quanto risulta anche dalla relazione tenuta dallo studente fiorentino Giulio Chiarugi nel 1952 al Congresso nazionale dell’Ugi di Firenze, e dagli attenti studi di Piero Pastorelli, ricercatore e storico modenese, già presidente dell’Unione goliardica modenese, quindi funzionario di Bankitalia, dirigente di cooperative, presidente della Federazione provinciale delle cooperative di Modena. Fra gli ascendenti dell’Ugi non si possono non citare, nel prefascismo, anche l’Unione democratica per la libertà del liberale Giovanni Amendola, padre di Giorgio, e la Corda fratres goliardica sorta a Messina, tradizionalmente di impronta massonica.

Quella prima proposta associativa su scala nazionale, dopo la fine del fascismo e della guerra, viene avanzata dal Circolo goliardico petroniamo, dall’Ordine, sempre bolognese, del Fittone assurto a storico simbolo fallico. Questo primo, isolato, tentativo di unire le forze goliardiche non va però a buon fine. Viene ripreso nel febbraio del 1946 al I Convegno dei principi della goliardia riuniti a Venezia che si ritrovano nelle sale discrete, semideserte d’inverno, nel celebre Caffè Florian in piazza San Marco.

Rilevante è ancora l’influenza degli universitari dell’Alma Mater bolognese. I firmatari della Dichiarazione di goliardia sono i rappresentanti degli ordini e delle associazioni presenti. In primo luogo, Guido <Bobo> Rossi (Bologna), che ha fatto in tempo a partecipare all’avventura stimolante e formativa del giornale di fronda del Guf, < Architrave>, soppresso dal regime nel 1943. I firmatari di quello storico documento risultano dunque: per Bologna Umberto Mangini, vicario, e «Bobo» Rossi barone dell’Svqfo (Sacer venerabilisque fictonis ordo); per Ferrara, Bruno Incorvaia, messo del duca Azzo; per Firenze Mario Matassi, presidente dell’Agf (Associazione goliardica fiorentina); per Genova, Raffaele Falcone, pontefice massimo dell’Agu (Associazione genovese universitari); per Padova Ennio Ronchitelli, tribuno del Tribunato degli studenti; per Pavia Guido Gnocchi presidente dell’Asup (Associazione studentesca universitaria pavese); per Torino Tito Pasqualigo, legato del pontefice massimo del Supremus ordo taurini cornus; per Trieste Oberdan Pierandrei, tribuno, Attilio Cohen, presidente dell’Interfacoltà e Sergio Vianello, presidente dell’Aut (Associazione universitaria triestina); per Venezia, Vittorio Cecchini, doge del Dogatum Cafoscarinum. Nomi che (a parte «Bobo» Rossi) non entreranno per lo più nella storia nazionale, anche più prossima, dell’Ugi, restando semmai in quella locale. Come Vittorio Cecchini, a lungo direttore del vivace giornale del Dogatum Cafoscarinum di Venezia attraversato da intense polemiche politiche per le drammatiche vicende di Trieste e dell’Istria, quest’ultima soggetta a una vera, drammatica, <pulizia etnica> anti-italiana che espulse trecentomila connazionali istriani e dalmati. Bello e sempre attuale il motto che si è dato Oberdan Pierandrei (1920), di Jiesi, studente di Giurisprudenza e tribuno Optatissimae universitatis Tergestinae a Trieste: <Patria, libertà, dignità, leggerezza>. Il suo successore Giuseppe Giustolisi (1929), siciliano di origine, ne conia un altro incisivo che inserisce come motto nel proprio stemma di tribuno: <Date a Cesare quel è di Cesare, il resto potete tenerlo>. Va detto che all’interno dell’Agf (Associazione goliardica fiorentina) c’è stato un dibattito intenso, cominciato già nel 1945 sul periodico <Salomone> sul quale scrive anche Giovanni Sartori, per gli amici <Vanni> (1924). Il futuro politologo di spicco internazionale, intervenendo nella discussione, esclude forme di <integralismo goliardico autoreferenziali>. Egli partecipa sino alla laurea, nel 1946, a questa discussione generale anche come delegato dell’Agf al primo Congresso di Roma, per poi dedicarsi alla carriera universitaria.

Scrive a proposito delle origini dell’Unione goliardica italiana uno dei suoi promotori nazionali, il futuro storico del riformismo Brunello Vigezzi, sulla rivista della Dante Alighieri «ll Veltro» (febbraio-aprile 1964) in un saggio dal titolo I goliardi.

Si tratta della ripresa delle antiche feste goliardiche, vietate durante il regime e del costume delle libere associazioni; o dell’affermarsi più contrastato dei vari gruppi frondisti esistenti all’interno del Guf, o della iniziativa, più chiaramente politica, dei numerosi nuclei di opposizione clandestina, presenti in diverse Università, e poi direttamente partecipi della lotta di Liberazione, o del primo manifestarsi, in una libera democrazia, dei gruppi universitari cattolici, stanchi dei logoranti compromessi subiti durante il precedente ventennio.

Nel maggio del 1946 si svolge a Roma il I Congresso nazionale universitario in cui si confrontano sostanzialmente tre raggruppamenti: i Liberi goliardi, la cattolica Fuci e gli <studenti democratici> del Cudi (essenzialmente comunisti e socialisti). I primi portano una forte carica di novità, sia pure confusa e disorganica, proponendo una rappresentanza universitaria realmente laica, cioè autonoma dei partiti e dalla Chiesa, e tuttavia politica, lontana quindi – come ha rimarcato in modo vibrante il goliardo triestino, Oberdan Pierandrei – dalla visione meramente sindacale dei cattolici, che ancora insistono sull’Interfacoltà. La Fuci fa soprattutto opera di testimonianza nell’università, ha una visione essenzialmente <tecnica> delle questioni studentesche e si oppone a un allargamento delle competenze degli organismi rappresentativi a tutti gli aspetti della vita degli atenei.

Si va ormai verso un deciso allargamento del pluralismo politico-culturale negli organismi elettivi. A Roma si devono votare i rappresentanti da inviare al Congresso internazionale di Praga (ancora in bilico fra Est e Ovest) e agli <studenti democratici> vanno 8 seggi, 6 ai Liberi goliardi e 6 alla Fuci. Fra i delegati <democratici> a questo I Congresso nazionale universitario figura anche il ventunenne Giorgio Napolitano (1925), appassionato di cinema e soprattutto di teatro, oltre che di politica, il quale, sin dall’anno accademico 1945-1946, è attivo nel movimento per i Consigli studenteschi di facoltà. A Roma Napolitano tiene per due notti la barra del dibattito da presidente dell’assemblea, un ruolo che già allora gli si attaglia perfettamente. Responsabile del Cudi è il sassarese Giovanni Berlinguer (1924), fratello minore di Enrico.
Al Congresso di Praga però si apre subito più di una spaccatura. Una riguarda l’Italia. Il Presidium del Congresso adotta una misura quanto mai settaria: riduce la delegazione italiana da venti a dieci delegati ed esclude, guarda caso, proprio due rappresentanti dell’Ateneo di Trieste, città all’epoca inserita in un territorio libero amministrato dagli alleati e contesa fino al 1954 fra Italia e Jogoslavia.

A Trieste e dintorni i soldati titini hanno compiuto autentici massacri nel maggio 1945, riempiendo di cadaveri di presunti fascisti le <foibe>. La decisione del Presidium provoca l’uscita immediata dal congresso dei Liberi goliardi. I quali ben comprendono che politicamente sarebbe folle regalare a fascisti e qualunquisti un problema capitale come quello di Trieste italiana. I nostalgici del mussolinismo già la cavalcano nelle scuole e nelle università italiane con grande spregiudicatezza e violenta drammatizzazione, promuovendo frequentemente scioperi e cortei. Nella delegazione italiana – ricorda Giuseppe (Peppino) Loteta (1931), messinese, protagonista nella prima Ugi – <c’è Napolitano e ci sono due goliardi: Guido “Bobo” Rossi, del Magistratus Fictonis di Bologna, noto per la straripante allegria e simpatia, e Oberdan Pierandrei, Tribuno di Trieste. Quest’ultimo, va sottolineato, è stato il candidato più votato, non soltanto della lista goliardica, ma pure di tutte le liste, ed esprime una posizione di chiara protesta contro la sinistra filotitina. I due vengono arrestati e rilasciati a ripetizione. Passano infatti le notti con i fiaschi di vino a cantare a squarciagola per le strade della capitale cecoslovacca: “Rosso è il cul dello scimmiotto/ Rosso è il fiasco de vin / Rosso è pure quel cul rotto di Stalin!>. Oberdan Pierandrei è ascrivibile all’area socialista, presto social-democratico. Sarà lui, con Giorgio Festi, a sciogliere la Gioventù universitaria socialdemocratica per entrare nell’Ugi. Figlio di un panettiere nelle Cooperative operaie triestine, la propria attività professionale la svolgerà anch’egli nelle Cooperative operaie di consumo, fondate a Trieste nel 1903. All’inizio la futura Ugi si chiama Federazione italiana goliardica autonoma (acronimo, chiaramente voluto, «Figa»). I suoi principi sono stati ribaditi al Congresso di Roma del 1946: autonomia delle università e libertà di insegnamento da inserire nella Costituzione. La scuola, l’università come grande priorità nazionale per la giovane democrazia italiana. È soltanto nel gennaio del 1947 tuttavia che otto associazioni goliardi che decidono formalmente di dar vita all’Ugi (Unione goliardica italiana) convocando a Bologna il I Congresso nazionale su di una piattaforma goliardico-laica, <intreccio -nota Pastorelli – di tradizione (ricostituzione delle associazioni locali prefasciste come Asup a Pavia e Agu a Genova, ripristino della <feste della matricola>, ecc), autonomia (parola d’ordine, <fuori i partiti dall’Università>) e laicità (la dichiarazione di goliardia già sottoscritta a Venezia)>.

A Pavia peraltro la tradizionale Asup è stata rimessa in vita già nel 1945 da un gruppo di studenti di differenti tendenze o comunque avviati per strade politicamente molto diverse. Sono Mario Albertini (1919), uno dei leader del federalismo europeo ispirato al Manifesto di Ventotene, che nella città e non solo in essa coagulerà attorno a sé un nucleo importante; Alberto Gigli (1921), reduce dalla Tunisia, poi fisico, docente e ricercatore di alto livello; il cattolico Virginio Rognoni (1924), futuro deputato e ministro democristiano (valido titolare del Viminale dopo il delitto Moro); Arturo Stenico (1919), archeologo molto apprezzato; Bruno Tonello. L’atto viene ufficialmente riconosciuto con decreto dal presidente del Comitato di liberazione nazionale di Pavia, il professor Mariano Maresca. <Il loro intento [scriverà molti anni dopo lo storiografo Dante Zanetti, a lungo animatore della vita studentesca nell’ateneo ticinese] era eminentemente culturale e di partecipazione democratica alla vita universitaria. Ma ben presto l’attività dell’associazione recuperò il carattere goliardico tradizionale>. Con veglioni, <cacce> alle matricole, numeri unici satirici (nei quali con caricature, didascalie sfottenti, racconti zeppi di allusioni erotiche, si mettono alla berlina <baroni> universitari e notabili cittadini), riviste teatrali tratte essenzialmente da quei medesimi testi beffardi ecc.

Quanto a Mario Albertini, laico, federalista europeo dei più convinti, docente universitario, si occuperà per anni del Mfe facendo di Pavia e del suo collegio universitario più antico, il Ghislieri, un centro fecondo di elaborazione politica e culturale europeista. Con alcuni giovani che poi passeranno a insegnare nelle facoltà pavesi o in altri atenei: Vittorio Colesanti, in seguito docente alla Cattolica; Arturo Colombo (1934), storico della politica, in cattedra a Pavia; Domenico Maselli (1933) studioso di storia delle religioni, pastore valdese a Lucca e deputato progressista negli anni novanta dopo un passaggio socialista.; Alberto Majocchi (1939) economista apprezzato; Franco Romani (1935), altro economista, stavolta di scuola liberale; Mario Stoppino (1935), docente a Scienze Politiche a Pavia; il giurista Antonio Padoa-Schioppa (1937), specialista di diritto medioevale. Il primo presidente di una Asup di nuovo politicamente laica è nel 1947 – secondo quanto ne scrive Piero Pastorelli – lo studente della facoltà di Medicina Salvatore De Rysky, nato a Palermo nel 1921, che ha militato nei gruppi antifascisti di Giustizia e libertà. In quello stesso anno si laurea, per entrare assai presto nella carriera universitaria come docente di alto livello di odontoiatria. Liberale e massone dichiarato, capeggerà per anni il gruppo di fratelli muratori decisamente contrario a Licio Gelli. A lui nella presidenza dell’Asup succede Adriano Morosetti, sanremese, studente di Giurisprudenza.

Un processo analogo a quello di Pavia si sviluppa nella libera Università di Urbino con l’Agu (Associazione goliardica urbinate) con tutto l’apparato di costumi, mantelli, feluche, papiri e reclami in latino maccheronico (primo duca Antonio Bigonzi, altro fisico molto abbondante in carica per anni, ma anche con l’apporto nuovo di giovani, magari reduci dalla clandestinità, come alcuni studenti ebrei salvatisi dalla deportazione, e dalla Resistenza come Paolo Volponi, classe 1924, che pubblicherà già nel 1948 il suo primo volumetto di poesie, Il ramarro, prima di essere reclutato da Adriano Olivetti e mandato in missione sociologica in Abruzzo, a Matera per il nuovo quartiere La Martella, a San Basilio a Roma per l’Unra-Casas. V’è inoltre un gruppo di studenti cattolici che ha fatto riferimento nel biennio 1943-1944 a don Gino Ceccarini, cappellano delle carceri e parroco di San Sergio, antifascista e salvatore, con il medico Severino Cerboni Baiardi, di numerosi ebrei: per esempio Sergio Antonelli (1924), in seguito docente di Diritto costituzionale nel locale ateneo, il quale al I Congresso di Roma, pur essendo cattolico, si candida con i Liberi goliardi e non con la Fuci. A Urbino il magnifico rettore della Liberazione è un personaggio singolare e di vero spicco, scientifico e politico: il giurista Giuseppe Branca che, dopo aver avuto cattedra ed essersi sposato a Urbino, già insegnava durante la guerra a Padova dove ha attivamente partecipato, con seri rischi personali, all’antifascismo e alla Resistenza portando nella città marchigiana materiale di propaganda contro il nazifascismo, in bicicletta, sotto gli occhi dei tedeschi. Nel periodo successivo al 25 aprile 1945 è pure segretario del Psiup nella Provincia di Pesaro-Urbino.

In quei mesi, mentre in molte università italiane si susseguono scioperi e proteste, il clima studentesco a Urbino è appassionato quanto pacifico, reso tale anche da questo rettore che apre esplicitamente l’anno accademico non in nome del Savoia ancora regnante, bensì a nome degli studenti. Egli ritiene di dover vantare quel clima costruttivo nel discorso inaugurale: <Nelle grandi Sedi universitarie, Roma, Bologna, Firenze, gli studenti sono agitati torbidamente, con scioperi e moti, spesso, di origini ambigue. I nostri giovani invece si son limitati ad esporre le proprie richieste con serietà e compostezza mirabili: qui non è dunque Bonomia, ma Urvinum che docet>.

Più tardi, come si sa, Giuseppe Branca sarà componente e presidente della Corte costituzionale e successivamente senatore della Sinistra indipendente in congiunture particolarmente <calde> (leggi sul divorzio, sull’aborto ecc.). Con posizioni laicamente favorevoli a entrambe le leggi, che il professor Branca esprime soprattutto dalle colonne del «Messaggero», fra il 1974 e il 1987, fungendovi pure con severa applicazione da «difensore dei lettori e dei loro diritti a chiarimenti, specificazioni, rettifiche ecc.

I congressi dell’Ugi si svolgono frequentemente in quel clima acceso del dopoguerra. Anche per amalgamare e definire meglio un movimento molto originale. A Torino, dopo notti insonni, si è dato vita a un primo abbozzo di unione nazionale fra gli universitari: si chiama Csu (Comitato studentesco universitario) e riunisce, secondo la testimonianza dello studente messinese Nino Gigante, <fucini>, goliardi e delegati dell’Università Cattolica di Milano. Nel dicembre del 1948 nasce a Perugia anche l’Unuri (Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana) la quale costituisce il vertice nazionale degli organismi rappresentativi eletti nei singoli atenei sulla base di alcune liste concorrenti. Le più importanti e <nazionali> sono quelle che fanno riferimento all’Unione goliardica italiana, all’Intesa cattolica (che ha ormai sostituito in numerosi atenei la vecchia Fuci sul piano sindacale e politico), il neofascista Fuan (Fronte universitario di azione nazionale), in verità formalizzato soltanto nel 1950. È soprattutto l’Ugi, come si è detto, a voler rafforzare, da subito, il ruolo politico-sindacale dell’Unuri, mentre l’Intesa stenta a staccarsi dalla visione corporativa dell’Interfacoltà disegnata in precedenza dalla Fuci e che i goliardi avversano apertamente. Del resto l’Intesa universitaria deve il proprio nome al fatto di rappresentare, appunto, una intesa fra le varie componenti cattoliche: la Fuci, la Giac (Gioventù italiana di azione cattolica, fortissima nel dopoguerra e che organizzerà nel 1948 un oceanico raduno di «baschi verdi» a piazza San Pietro, fra i quali c’è anche l’alessandrino Umberto Eco), il Movimento giovanile della Dc, le Congregazioni mariane universitarie. Strutturatasi sul piano sindacale, l’Intesa sarà mediamente meno politicizzata dell’Ugi.
L’Unuri verrà governata per alcuni anni sulla base di un patto fra Ugi e Intesa che prevede l’alternanza alla presidenza fra laici e cattolici: chi la detiene non ha la maggioranza in giunta. Un patto che, sia pure in modo ondivago, fra una crisi e l’altra di vertice, reggerà sino al maggio 1960. I Congressi che si susseguono in quei dodici anni si svolgeranno a Viareggio (1951), a Montecatini (1953), a Grado (1955), dove Ugi e Intesa «pareggiano» con nove seggi ciascuna, a Rimini (1957) dove l’alleanza politica laici-cattolici diviene programmatica, e a Cattolica (1959). Dei presidenti di quel periodo tredici saranno cattolici e sei laici, cioè Armando Costa, messinese, ancora legato tuttavia a una visione che pone l’attività goliardica <fuori dalla politica>, Sergio Stanzani (dal 1951 al 1953), bolognese, Paolo Ungari, milanese, il modenese Giovanni <Nanni> Losavio (1934), poi magistrato di Cassazione e presidente nazionale di Italia Nostra, il teramano romanizzato Marco Pannella e il pavese Gerardo Mombelli. Quali i rapporti di forza fra le due associazioni maggiori? Quasi di parità per anni, nonostante l’Ugi non fruisca di sostegni esterni, mentre l’Intesa ha sostanzialmente alle spalle il mondo cattolico e le sue organizzazioni.

*dal secondo capitolo del libro di Vittorio Emiliani, “Cinquantottini, L’Unione goliardica italiana e la nascita di una classe dirigente”, Marsilio Editore 2016, pagg. 282, euro 17,50.

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