Paolo Leon non è stato certo un economista lontano dai problemi dei lavoratori come tanti suoi attuali colleghi o giuslavoristi che sembrano prevalentemente impegnati in una attività sportiva: il tiro al lavoratore. Con la Uil e con il segretario generale di allora, Giorgio Benvenuto, ebbe un rapporto proficuo e intenso che portò alla creazione del Centro Ricerche Economia e Lavoro (Crel). E prima ancora, quando Benvenuto era segretario della Flm, con Enzo Mattina e Aldo Canale fondò la rivista “fabbrica aperta”. Nel 1976 Benvenuto venne eletto segretario generale della Uil e l’anno successivo, in quella nuova veste, celebrò il suo primo congresso a Bologna. Leon non mancò di offrire la sua intelligente collaborazione anche in quella occasione ispirando un capitolo della relazione introduttiva del neo-segretario. Titolo: La politica di piena occupazione: una proposta per Il Sud. All’epoca ancora si parlava di piena occupazione, ne parlavano persino i partiti di sinistra. Vogliamo offrire lo stralcio di quella relazione non per compiere una operazione di “amarcord” ma per dare a Paolo quel che è stato di Paolo, con il rispetto e l’ammirazione dovuta a un economista che aveva deciso di mettere la sua scienza prima di tutto al servizio dei meno forti, esercizio adesso non più tanto di moda. E per stimolare all’interno di quelle organizzazioni, di quei partiti, di quei gruppi che dicono di ispirarsi ai valori della sinistra una riflessione, una autocritica e, semmai, una maggiore attenzione verso i problemi veri delle persone (il lavoro lo è) che, al contrario, scompaiono dai programmi televisivi (poco male) e, purtroppo, anche da quelli politici (in questo caso, molto male).
–di GIORGIO BENVENUTO-*
La politica di piena occupazione: una proposta per il Sud.
Secondo le più recenti rilevazioni Istat, le persone in cerca di lavoro sono 1.459.000 e tra esse i giovani fino a 29 anni sono 1.054.000 cioè il 72 per cento. Di questi circa 400 mila sono le persone con diploma o con laurea. Di fronte a questi dati la nostra azione non può limitarsi alla difesa dei lavoratori occupati ma deve tendere a cerare, in ogni modo e in ogni luogo, nuovi posti di lavoro. A questo principio deve ispirarsi la contrattazione aziendale, specialmente nelle grandi aziende, ed in generale l’iniziativa sull’organizzazione del lavoro che deve essere finalizzata alla creazione di nuova occupazione.
Per questo noi proponiamo che si affronti con decisione il nodo della politica degli investimenti, soprattutto quelli del settore pubblico, affinché essa diventi a tempi brevi un confronto con le organizzazioni imprenditoriali e con il governo. Ma, oltre a quello degli investimenti, c’è un aspetto specifico della nostra iniziativa sul quale dobbiamo concentrare gli sforzi nei prossimi mesi: quello di un aumento dell’occupazione che passi attraverso una più intensa utilizzazione degli impianti tramite l’introduzione del doppio turno di lavoro nel Sud.
Per questa via, noi possiamo porci l’obiettivo della creazione di 100 mila posti di lavoro nel Sud e in tutti i settori industriali, esclusi il chimico, il metallurgico e l’abbigliamento e naturalmente l’edilizia. 100 mila nuovi posti è un obiettivo realistico considerando le potenzialità di occupazione che l’aumento dei turni e quindi della produzione può indurre nei servizi e in generale nel terziario.
Dal censimento del 1971 risulta che le imprese industriali con più di cento addetti (quindi imprese medio-grandi) occupavano nel Sud complessivamente 132 mila lavoratori, sempre escludendo dal calcolo i settori nei quali c’è già il doppio turno o addirittura il ciclo continuo. Non si hanno dati per calcolare quali mutamenti siano intervenuti nel frattempo; è ragionevole sostenere, in base all’andamento dell’occupazione complessiva nel Sud in questi anni, che essi non sono stati rilevanti. Si deve scontare inoltre che non dappertutto sarà possibile, per ragioni di mercato e per resistenze di ogni genere, aumentare la turnazione. Tuttavia l’obiettivo dei 100 mila posti di lavoro nel Sud sconta ampiamente queste difficoltà e quindi è del tutto realistico. La Uil intende fare una rilevazione più dettagliata ed elaborare un progetto più organico.
Dobbiamo però sapere fin d’ora che porsi questo obiettivo implica l’accettazione da parte di tutto il movimento di una seria disponibilità e al tempo stesso di capacità di lotta. Ma la realizzazione della proposta che avanziamo avrebbe un tale effetto dirompente, nel senso della crescita del Sud, e rappresenterebbe un modo straordinariamente concreto di perseguire l’obiettivo della piena occupazione da esigere da parte del movimento uno sforzo molto grande.
Naturalmente non mancano e vanno approfondite e discusse le obiezioni all’aumento della turnazione. Cercheremo di richiamarle brevemente, per dare un quadro della situazione, anche allo scopo di dare al congresso e non solo ad esso l’opportunità di analizzare la proposta in tutte le sue implicazioni.
Problemi ce ne sono ma a noi non sembra impossibile risolverli con l’impegno e il contributo di tutti.
L’obiezione fondamentale riguarda indubbiamente le conseguenze che un aumento della turnazione e quindi un aumento della produzione di questa entità avrebbe sull’andamento complessivo dell’economia italiana, con particolare riferimento ai suoi gravi vincoli con l’estero. Cominciamo col togliere di mezzo l’obiezione sull’assorbimento da parte del mercato interno e internazionale della nuova produzione. Sul mercato interno essa trova nuova domanda determinata dall’aumento dell’occupazione diretta e indiretta. Comunque è questa una obiezione che va superata nell’ambito di una politica di programmazione: se si accetta come insuperabile un simile vincolo si subiscono in realtà proprio le regole del gioco che sono alla base della persistenza del sottosviluppo del Mezzogiorno. Sicuramente la produzione delle imprese e dei settori in cui avviene l’aumento dei turni è più competitiva e questo rende perseguibile una politica di espansione delle spertazioni, naturalmente nei limiti consentiti dal livello di crescita del commercio internazionale.
L’altra obiezione riguarda l’incidenza che l’aumento di produzione potrà avere sul deficit della bilancia dei pagamenti. È un problema reale al quale possiamo dare due risposte. La prima è che il contenuto di importazione è meno che proporzionale (e di molto) all’aumento della produzione. La seconda è che si tratta comunque di un operazione di aumento dell’efficienza produttiva e che quindi, nel medio periodo, non po’ che avere effetti positivi sulla nostra competitività internazionale.
Molte altre se ne potranno fare (per esempio il problema dei servizi nei turni di notte) ma è evidente che non possiamo non sottolineare il significato strategico e di rottura con la logica del sottosviluppo che il raggiungimento di un obiettivo di questo tipo comporta. A questo proposito possiamo e dobbiamo trovare la possibilità di discutere insieme con gli imprenditori, con il governo e, laddove è possibile, con gli enti locali, soluzioni a sostegno (soprattutto servendosi degli strumenti del credito e del fisco) alle soluzioni proposte nelle situazioni in cui è possibile farlo.
Il problema, ripeto, è complessivo e presenta anche per il sindacato una serie di sacrifici e di rischi. Ma noi riteniamo che di fronte all’andamento che sta assumendo la cristi economica, di fronte alla mancanza di ogni politica di espansione della produzione e dell’occupazione, bisogna avere il coraggio di affrontare un simile problema. Il nostro invito agli economisti e ai tecnici è quello di analizzare con noi nei prossimi giorni tutti gli aspetti, comprese le controindicazioni che certamente non mancano, della questione.
Noi siamo convinti di proporre una soluzione che aumenta, ora e in prospettiva, l’efficienza del sistema produttivo introducendo però al suo interno elementi progressivi e di trasformazione. In ogni caso ci sembra un modo concreto, al di là degli slogans di perseguire concretamente una politica di piena occupazione.
* Relazione del segretario generale della Uil, Giorgio Benvenuto, al congresso che si svolse a Bologna dal 29 giugno al 3 luglio 1977, sul tema: “Un sindacato di partecipazione per l’unità dei lavoratori, i disoccupati, i giovani, le donne”. Lo stralcio si riferisce al capitolo dedicato al rilancio dell’occupazione al Sud.
Oggi la sinistra,o quella che tale si autodefinisce,è chiaramente subalterna al neo liberismo e non va oltre rispostine sussurrate intorno al problema vitale per la grande maggioranza : il LAVORO:La situazione generale è radicalmente cambiata,ma ciò non può portare all’afonia della sinistra.Giovanni Bonfili