-di VALENTINA BOMBARDIERI-
Se spesso si sono registrate lamentele sull’assenza delle donne in politica dopo le amministrative di Torino e Roma il panorama si è tinto di rosa. E di stelle. Cinque, per la precisione. Qualunque sia l’esito dei ballottaggi, queste elezioni comunali saranno ricordate per la grande rivincita delle donne. Hanno partecipato come mai prima, hanno fatto il pieno di preferenze.
Hanno sconvolto gli equilibri di un Paese ancora troppo indietro per quanto riguarda la parità di genere. A conti fatti, le donne hanno votato le donne. Dal 753 a.C la città eterna è stata guidata da uomo, ora al ballottaggio ci sarà Virginia Raggi, con ottime probabilità di conquistare la poltrona del Campidoglio. Sempre nella Capitale, Giorgia Meloni, al sesto mese di gravidanza, ha ottenuto un soddisfacente 20,6 per cento alleandosi con la Lega Nord di Matteo Salvini. In una città importante, storicamente industriale e operaia come Torino, Chiara Appendino ha conquistato il diritto a contendere la carica di sindaco all’uscente Piero Fassino. Savona avrà in ogni caso una donna “primo cittadino”, Cristina Battaglia o Ilaria Caprioglio. A Bologna la leghista Lucia Borgonzoni ha costretto al ballottaggio Virginio Merola che puntava alla vittoria al primo turno.
A Milano l’ex ministra azzurra Maria Stella Gelmini ha ottenuto quasi 12 mila preferenze per il consiglio comunale umiliando Matteo Salvini. Donne al ballottaggio anche a Brindisi, a Crotone, a Carbonia. La doppia preferenza di genere ha agevolato l’ingresso delle donne nelle liste e avviato un processo di trasformazione e modernizzazione della rappresentanza femminile i cui esiti li apprezzeremo nello loro globalità solo fra qualche tempo.
Ma i riflettori sono tutti per le donne pentastellate. Virginia Raggi, ha coagulato un consenso elettorale pari al 35,4% delle preferenze dando al suo partito, il Movimento 5 stelle, la possibilità di doppiare dal punto di vista delle preferenze il Pd e a sé stessa quella di staccare di poco più di dieci punti il suo avversario, Roberto Giachetti (24,8%). Virginia era stata scelta come candidata del Movimento 5 Stelle lo scorso 23 febbraio, con una votazione online a cui avevano partecipato 1.724 iscritti. Consigliera comunale, considerata dalla stampa come l’esponente del Movimento più popolare in città. Trentasette anni, romana, vive a Ottavia dopo essere cresciuta a San Giovanni. Laureata a RomaTre in Giurisprudenza, si è specializzata in diritto d’autore, proprietà intellettuale e nuove tecnologie. Ha lavorato come civilista nello studio legale Sammarco: tra i consulenti esterni dello studio c’è anche il penalista Alessandro Sammarco, che in passato ha difeso Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri e Cesare Previti in importanti processi.
Profilo politico inedito e per molti aspetti sfuggente e indefinibile (con tratti più pendenti a destra che a sinistra); da molti considerata come una “ventriloqua” di Grillo e del famoso “direttorio”, cosa che ha ispirato una imitazione di Virginia Germani trasmessa all’interno del programma di Fiorello (“Edicola Fiore” in onda su Sky Uno), che sta spopolando in questi giorni sul web. Valutazioni determinate anche dal fatto che sia lei che tutti gli altri candidati del partito al consiglio comunale hanno firmato un contratto che li impegna a pagare una penale molto alta e a dimettersi in caso arrechino un “danno di immagine” al Movimento, e che inoltre, quando sarà eletta sindaco (se lo sarà), sarà tenuta a sottoporre (per ottenerne l’approvazione) allo “staff di Beppe Grillo” tutti gli atti amministrativi di una certa rilevanza. Lei in una intervista, dopo aver affermato di essere pronta a dimettersi a fronte di una richiesta del comico leader del partito, ha provato a spiegare che lo staff servirà «per esempio, a fare ricerche legali sulle persone da nominare. È una garanzia ulteriore avere più occhi che controllano determinati atti come le nomine». Giustificazioni che non sono apparse completamente convincenti tanto da indurre i critici a dubitare della sua reale autonomia e gli avversari a sostenere che in questa maniera Roma sarà governata non dal Campidoglio ma dall’ufficio della Casaleggio Associati e da una delle tante dimore di Beppe Grillo. Insomma, politicamente Roma sarà più colonia che Capitale.
Ciò non toglie che Virginia Raggi e Chiara Appendino siano i volti nuovi del Movimento 5 stelle, più rassicuranti rispetto a quello perennemente rabbioso del comico genovese o enigmatico di Gianroberto Casaleggio, lo “stratega” recentemente scomparso. Rappresentano la prosecuzione dell’immagine istituzionale incarnata da Luigi Di Maio, in contrapposizione con la versione di lotta (o, meglio ancora, di piazza) che è servita a coagulare la rabbia (ha avuto un peso decisivo sui risultati romani) ma che non sembra essere strumento utilissimo per amministrare grandi città. Madri che riescono a conciliare famiglia e lavoro. Nuove alla politica ed esteticamente gradevoli, dettaglio a cui in particolare un membro dello staff che cura la comunicazione parlamentare del partito, attribuisce un notevole valore, così notevole da essere stato, si dice, determinante nella rinuncia alla candidata-sindaco inizialmente scelta a Milano.
Chiara Appendino, collega pentastellata di Virginia Raggi, è nata nel 1985 a Moncalieri, in provincia di Torino. Sposata, ha una figlia di pochissimi mesi. Dopo essersi diplomata, ha studiato economia internazionale e management in inglese e poi si è specializzata in pianificazione e controllo di gestione aziendale. Parla diverse lingue: il tedesco, l’inglese, il francese e un po’ di spagnolo. Ha lavorato nella Juventus per oltre 2 anni e poi è divenuta responsabile del controllo di gestione presso l’azienda di famiglia. Soltanto nel 2010 si è avvicinata per la prima volta al Movimento 5 Stelle occupandosi del bilancio della città. Nel maggio del 2011 è stata eletta consigliera comunale e poi vicepresidente della commissione bilancio.
La Raggi e la Appendino, che piaccia o meno, incarnano un cambiamento anche se forse non proprio una alternativa. Un voto contro un sistema che ha deluso e stancato, una rivolta emotiva, allo stesso tempo comprensibile ma di “pancia”, contro un malaffare eletto a strumento di amministrazione. Contro un partito che è stato investito da Mafia Capitale. In ogni caso rappresentano una evoluzione di una politica in cui le donne erano al massimo delle “damigelle d’onore”, quasi mai delle attrici protagoniste. Anche se va detto che le donne-sindaco, di grande prestigio, nel passato, anche recente, non sono mancate, a cominciare da Rosa Russo Iervolino che ha guidato Napoli per dieci anni, dal 2001 al 2011, lasciando la carica a Luigi De Magistris in corsa per la conferma. E’ evidente che spira un vento di novità che parte, significativamente, dagli Stati Uniti che hanno spesso anticipato fenomeni poi diventati mondiali. Hillary Clinton sarà la prima donna che correrà nel prossimo autunno per la carica presidenziale. Ma La novità potrebbe anche andare oltre visto che Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts, esponente dell’alla più progressista del partito, ha fatto sapere che appoggerà la “nomination” di Hillary. Tra i democratici americani ha preso corpo da tempo una corrente di pensiero che vedrebbe con favore un ticket tutto al femminile per le prossime presidenziali e in questo caso il ruolo di vice potrebbe toccare proprio all’economista sessantasettenne che nel suo stato ha ereditato il seggio e anche il ruolo che fu di Ted Kennedy.