Economia, Italia prigioniera dell’oggi

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-di SANDRO ROAZZI-

Ma che succede realmente all’economia italiana? A vedere gli ultimi dati sullo stato di salute del nostro sistema economico non c’è da stare molto allegri. Caduta di fatturato ed ordini, retribuzioni al palo e crescente conflittualità sociale (scioperi nella metalmeccanica e grande distribuzione in attesa del pubblico impiego), trend positivo sull’occupazione che affievolisce ed oggi anche il clima di fiducia dei consumatori in calo bilanciato (si fa per dire) da quello complessivo delle imprese però con molte ombre. Torpore primaverile o accentuazione della debolezza della ripresa definita solo ieri dal nuovo Presidente di Confindustria boccia come deludente?

Domanda impegnativa alla quale è difficile dare risposta, visti anche gli sforzi che si stanno compiendo per rimettere in carreggiata la nostra economia. Ma lo iato almeno per ora fra desiderata e realtà appare forte.

A maggio dunque il clima di fiducia dei consumatori è in calo, diminuendo in particolare il giudizio sull’economia attuale e futuro e, brutto segnale, sull’occupazione. Le imprese vanno un po’ meglio, ma i giudizi sugli ordini e sull’andamento dell’economia peggiorano come scende il clima di fiducia in settori portanti per l’economia come la manifattura, il commercio (dove non si scommette molto sulle vendite future) e soprattutto le costruzioni, da sempre forte volano occupazionale.

Che il nostro quadro economico sia condizionato da ciò che avviene sui mercati internazionali (il solito petrolio, la solita Cina, il solito Giappone), in Europa e sui flussi migratori è indubbio, ma non basta a spiegare questa riluttanza a cambiare passo sulla strada della crescita.

Un primo problema che si pone, e di ardua soluzione, è quello dello stato dei redditi, salari, stipendi, pensioni. Si fa più pressante poi l’esigenza di far ripartire, ma sul serio, gli investimenti. E malgrado l’azione della Bce non sembra affatto migliorato il rapporto fra banche e mondo delle imprese. Si fatica a fare sistema fra le diverse aree del Paese, con buona parte del Sud in forte difficoltà. E vi è un pullulare di vertenze sulle ristrutturazioni che non preludono certo ad incrementi di posti di lavoro. Certo, poi c’è il Paese che va, che innova, che rischia. Teniamocelo caro ed evitiamo di deluderlo.
Ma non basta. Eppure sarebbe necessario non perdere quel tanto di cambiamento nelle attese del Paese che ha permesso di fare qualche passo in avanti, piccolo ma importante. Le prove di dialogo fra governo e sindacati e fra le parti sociali (se le intenzioni sono serie) possono esser funzionali in questa direzione. Scuotere il Paese imprigionato nell’oggi e proiettarlo in avanti. Non è molto ma serve.

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