La Costituzione del bar Sport

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-di ANTONIO MAGLIE-

Il dibattito sulle riforme costituzionali potrebbe validamente prendere a prestito il titolo di un vecchio libro di un calciatore degli anni Settanta, Paolo Sollier, noto per le sue simpatie sinistrorse: “Calci, sputi e colpi di testa”. Perché se qualcuno aveva sperato in un colpo d’ala che consentisse agli elettori di potersi districare meglio, attraverso un confronto sul merito, in una materia così complessa come quella istituzionale (legata a doppio filo peraltro a quella dei meccanismi elettorali), al momento non può che dichiararsi deluso. Ci si poteva augurare che il processo di revisione istituzionale prodotto non da una fase costituente ma da un più modesto dibattito politico conclusosi in maniera stanca nell’ultimo voto, potesse trovare slancio con l’avvio di quella fase partecipativa che culminerà nel referendum del prossimo autunno.

Al contrario assistiamo a scene singolari. Renato Brunetta che da esponente di Forza Italia ha sostenuto una riforma della Costituzione proposta da Silvio Berlusconi che si muoveva in un alveo non molto diverso da quella in cui si muove l’attuale (il patto del Nazareno non era frutto del caso) che applaude Maurizio Landini che non amava quella vecchia proposta e non ama nemmeno questa. Matteo Salvini a sua volta che con i suoi consueti toni “moderati” reclama il ricovero per Giorgio Napolitano. Maria Elena Boschi che apre una personalissima “cancelleria” in cui vengono distribuiti attestati di “veridicità Partigiana”, quasi si potesse attribuire su vicende come queste il marchio Doc. Luigi Di Maio che accusa Matteo Renzi di essere legato con “contratto a tempo indeterminato” alle lobbies petrolifere. Matteo Renzi che, a sua volta, dice che i candidati pentastellati sono dei co.co.pro. al servizio della Casaleggio Associati, accusa che in un altro contesto avrebbe una sua rilevanza o fondatezza. Perché c’è molto di singolare nel fatto che una candidata-sindaco (Virginia Raggi) abbia firmato una sorta di contratto con l’Associazione Movimento 5 stelle che fa capo all’azienda Casaleggio e a Beppe Grillo, col quale cede una parte dei poteri che acquisirebbe per mandato popolare a persone sconosciute ai cittadini, prive cioè di qualsiasi mandato, per poi dichiarare tranquillamente che se glielo chiedesse l’ex comico lei si dimetterebbe dalla poltrona del Campidoglio dimenticando che il vincolo non è con un capo-partito (o capo-popolo) ma con la collettività romana. La possibilità che tutto questo comporti una violazione dei principi costituzionali è più che fondata. Principi, peraltro, sanciti nella medesima Carta che i pentastellati poi difendono dagli “assalti” di Renzi.

E’ evidente che è in corso un cortocircuito prodotto dalla sovrapposizione-identificazione tra due scadenze: le elezioni amministrative e il referendum con il risultato che tutto finisce nel calderone di una campagna elettorale lunga sei, sette mesi. E’ evidente che il merito della questione scompare: che tipo di forma di governo avremo con l’approvazione di questa riforma? L’Italicum restituisce ai cittadini il diritto di scelta dei parlamentari o è in qualche maniera la riproposizione riverniciata del Porcellum? Nell’operazione aritmetica qual è il rapporto tra i due fattori? E’ la legge elettorale funzionale alla Costituzione o è la Costituzione funzionale alla legge elettorale? Elimineremo realmente una camera pur continuando ad avere 95 senatori (più cinque di nomina presidenziale) che dovranno avere uffici, segreterie, strutture varie? In che misura il bicameralismo paritario sarà superato? Come si configureranno gli equilibri tra i vari poteri dello Stato? Nessuna di queste domande attraversa l’universo politico che si affronta con cipiglio guerresco nell’arena mediatica.

Del vecchio modo di intendere il confronto resiste solo una antica malattia esentemica (come il morbillo) della politica italiana: la “manifestite”. Ha sempre presentato alti livelli di contagio all’interno dell’intellighenzia italiana. Ma se firmare appelli pro o contro qualcosa aveva una sua ragion d’essere (anche produttiva di risultati positivi) nell’epoca in cui esistevano le grandi organizzazioni di massa (o le strutture che organizzavano le masse), adesso, nella società apparentemente globale di internet ma in realtà molto polverizzata, il consenso si aggrega per germinazione “tifosa” spontanea (attraverso i social), non si conquista più con un lavoro che si diffonde alla base come una macchia d’olio. Inoltre, anche da parte degli intellettuali appare sempre più evidente la tendenza a legare periodi storici che in realtà non presentano i medesimi connotati. E’ vero, di riforma della costituzione si parla da circa trent’anni. Ma le questioni che venivano sollevane alla fine degli anni Settanta (ad esempio da Craxi) sono solo in apparenza identiche a quelle attuali. In quegli anni il problema dell’Italia era la governabilità dovuta a un assemblearismo esasperato che nasceva da un lato dalla mancanza di una alternativa politica che alimentava in alcuni la spinta a esercitare poteri di veto (il mondo era diviso ancora in due blocchi e noi eravamo proprio sul confine) e dalla tendenza dei partiti alleati a usare l’arma dell’interdizione in misura massiccia e disinvolta per conquistare spazi di potere. Oggi la governabilità (come ha dimostrato anche il difficoltoso iter della legge sulle Unioni civili) nasce all’interno di “poli” rissosi, cioè dentro i governi. E il problema più grave è dato dalla crisi di rappresentatività che si manifesterà con una astensione al prossimo referendum che potrebbe lambire il cinquanta per cento e cha ha già superato in alcune recenti consultazioni il sessanta. Una crisi legata alla omogeneità delle proposte politiche e alla loro indistinguibilità, e alla caduta verticale, tanto al centro quanto, soprattutto, in periferia, dell’etica pubblica.

Il miglior antidoto a tutto questo sarebbe stato il coinvolgimento dei cittadini elettori ma non è semplice se tutto viaggia sulle ali della “battuta” da bar sport; la politica sembra aver fatto totalmente propria (e per giunta in maniera molto festosa) “l’ideologia” del Processo del Lunedì, geniale trasmissione di Aldo Biscardi che sarebbe stato meglio mantenere in quello specifico territorio. Al contrario, di questo passo accadrà che gli elettori (il cinquanta per cento di cui sopra) che a ottobre decideranno di recarsi alle urne, si avvicineranno al seggio animati dalla medesima preoccupazione che caratterizza i tifosi che si recano allo stadio: trovare la strada più breve e sicura per giungere alla curva Nord o alla curva Sud.

 

antoniomaglie

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