-di SILVANO MINIATI-
Il ministro Giuliano Poletti sembra essersi improvvisamente svegliato. Lo ha fatto per annunciare che il prossimo 24 maggio incontrerà i sindacati dei pensionati che da mesi ormai sollecitavano un incontro. L’annuncio è arrivata a poche ore dalla manifestazione nazionale che i sindacati dei pensionati CGL, CISL e Uil hanno indetto per domani. Se l’annuncio di Poletti rappresenta davvero un primo dato positivo, saranno SPI, FNP e UILP, promotori della manifestazione a valutarlo e giudicarlo. Per quanto mi riguarda, sono propenso a ritenere, ma questa è un convinzione antica, che quando la piazza si muove, è difficile anche per un governo che ha dimostrato una evidente ostilità nei confronti del sindacato, far finta di niente.
Quali che siano gli intenti di Poletti e del governo, è evidente comunque che l’incontro del 24 assume una grande importanza, in quanto non sarà possibile per il governo, per l’INPS o per l’ISTAT continuare con il balletto davvero poco nobile dei numeri e delle statistiche utilizzati a proprio piacimento. In queste settimane infatti, ne abbiamo viste di tutti i colori e siamo ritornati ad un passato durante il quale l’ISTAT veniva utilizzata quasi sempre a sostegno delle scelte già compiute dal governo o di quelle in via di preparazione.
In queste settimane abbiamo avuto la prova che non regge una pratica che permetta a lor signori di fare ricorso a depistaggi e diversivi ogni qualvolta che la verità sulle bugie dette a proposito di pensionati e pensioni dimostrano di non reggere. Abbiamo imparato che fino a che la contestazione spesso documentatissima arriva targata da CGIL, CISL e UIL, è possibile, per il governo, tentare di chiudere la partita in fretta e furia parlando dei soliti gufi. Quando invece le targhe indicano, Draghi, il Fondo Monetario internazionale o l’OCSE come mittente, tutto più diventa complicato.
È ormai riconosciuto a livello internazionale, e in particolare da istituzioni molto prestigiose e mai o quasi mai amiche dei pensionati e del sindacato che tenere i salari e pensioni bassi non aiuta la ripresa. Non rinnovare i contratti, comprimere i salari deprime la situazione economica, blocca i consumi e soprattutto frena l’occupazione, e rende poco credibile anche il tentativo di scaricare ogni colpa sull’Europa.
Deve essere chiaro che di colpe l’Europa ne ha tante, ma non è possibile ignorare le differenze che si producono da un paese all’altro, dalle medesime scelte e ciò dovrebbe spingerci a domandarci il perché esiste di fatto “un caso Italia” sul quale questo governo, malgrado i tanti annunci di futuri miracoli, non riesce affatto a incidere.
Non dovrebbe essere impossibile per nessuno prendere atto e riconoscerlo apertamente che la politica di bassi salari e pensioni non salva affatto il nostro paese e che anzi lo spinge sempre più sulla strada del declino.
Può anche darsi che Poletti e Padoan ai quali non fa certo difetto la faccia tosta, si dichiarino in perfetto accordo con Draghi e Fondo monetario, e che però confermino la giustezza di una politica che nega il rinnovo dei contratti pubblici, il miglioramento delle pensioni mentre conferma la solidarietà a Federmeccanica che si oppone in modo del tutto immotivato al rinnovo del contratto dei metalmeccanici.
Non è escluso che i soliti due “e cioè Padoan e Poletti” affermino per l’ennesima volta che la luce in fondo al tunnel esiste anche se la vedono soltanto loro, che il Jobs Act funziona benissimo, che il futuro che ci attende è sicuramente roseo.
Saremmo davvero curiosi di assistere a un solo tentativo dei due ministri di spiegare a noi e agli italiani il perché le tante forme di lavoro ivi compreso quello nero che dovevano sparire e non solo non sono sparite, ma si stanno arricchendo di nuovi arrivi come ne caso dei voucher che tutti ormai ammettono rappresenti un espediente “truffa” per coprire lavoro nero e illegale. Intanto nessuno, in concreto, fa niente per colpire un fenomeno che non riguarda soltanto l’agricoltura.
Per tornare direttamente al problema pensioni e pensionati, noi partiamo dalla convinzione che la pensione rischi di non essere considerata più un diritto e invece venga assunta come variabile subordinata. Ciò è così per Renzi e il suo fido Nannicini, per Boeri e il gruppo dei suoi amici esperti, ichinodipendenti, per Poletti con la sua apparente prosopopea che hanno deciso che di acquisito, non esistono ormai né diritti né altro. E per non lasciare dubbi su questa loro impostazione, hanno incominciato a menare colpi all’impazzata iniziando da scelte apparentemente modeste accompagnate però da minacce di rappresaglia sempre più gravi.
Colpi seri, impedendo un qualsiasi collegamento tra livello delle pensioni e andamento dell’economia e dei salari, atti di ostilità nei confronti di CAF e patronati. Minacce alle pensioni di reversibilità, alle integrazioni al minimo, unite al rifiuto ormai evidente di ogni impegno di risanamento e rilancio della politica di welfare .
Anziché andare verso una razionalizzazione ragionata e basata su una ridefinizione delle soglie di accesso, si è deciso di imporre in modo dissennato la politica dei tagli. L’ISEE anziché uno strumento di regolazione e controllo dei diritti ad accedere a determinate prestazioni è diventata di fatto una sorta di mannaia contro le famiglie più povere, e ciò non solo per quanto riguarda il versante dell’infanzia, ma anche quello degli anziani soprattutto quello dei non autosufficienti per i quali l’Italia è diventata un paese del quale dovremmo tutti vergognarci.
Come detto più volte, gli anziani subiscono in maniera pesantissima i costi di questa politica, e sono costretti a reagire curandosi di meno, mangiando quello che costa di meno, anche se di qualità molto scadente e soprattutto rimanendo spesso chiusi in casa in totale isolamento.
Di fronte a tante cose che non vanno, continua però la politica delle promesse. Ciò vale per quella parte degli esodati che ancora rimangono tali, per milioni di pensionati che attendevano un intervento che garantisse loro in tutto o in parte gli 80 euro.
Sul problema delle possibili anticipazioni dell’età della pensione, Poletti, Padoan e Boeri hanno detto di tutto e di più con il risultato che tutto è rimasto come prima. Ora, si è scoperto l’antidoto per combattere la tendenza a non fare figli. Non ci si chiede perché le donne italiane facciano meno figli di quelle di altri paesi, perché non si vuole prendere atto che con la politica dei piccoli sussidi, non si va da nessuna parte. Se tu concedi pochi euro a una famiglia che ha un figlio da mantenere, non solo non risolvi un problema, ma crei almeno potenzialmente altre gravi ingiustizie.
Cento euro a una famiglia ancora in condizioni gestibili possono rappresentare un aiuto per coprire magari qualche spesa superflua. Mentre una famiglia che non dispone di servizi e magari è costretta a pagare tanto per farvi ricorso non potrà che sentirsi presa in giro e umiliata.
Potremmo continuare all’infinito ad elencare i problemi drammaticamente aperti, per i quali i pensionati saranno in piazza domani. Deve essere infatti chiaro che non si tratta solo di pensioni da garantire e aumentare, ma della condizione più generale e quindi della qualità della vita di milioni di italiani che stanno pagando il prezzo di una politica, che piaccia o no, si traduce nell’obiettivo del togliere ai tantissimi che hanno poco, garantendo così coloro che hanno molto e che stanno migliorando la loro condizione e incrementando i loro redditi.
Per queste ragioni, è davvero necessario per tutti coloro che saranno in piazza sentire attorno a sé la partecipazione e la solidarietà di tutti. In ballo c’è anche il futuro nostro e l’obiettivo di ritornare a essere considerati una risorsa, che è non solo obiettivo degli anziani, ma di chiunque voglia davvero il bene dell’Italia.