Nenni e il Divorzio: Un No per la democrazia

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-di PIETRO NENNI-*

Chiudendo a Milano la campagna per il referendum il Sen. a vita Pietro Nenni ha riassunto in tre ordini di considerazioni le ragioni per le quali si deve votare “NO”. In primo luogo perché la legge sul divorzio approvata più di tre anni or sono dal Parlamento è in sé medesima e attraverso la prova dell’esperienza un fattore essenziale di difesa e moralizzazione dell’istituto famigliare nei casi rigorosamente delimitati in cui circostanze interne ed esterne hanno messo in crisi la famiglia e ne hanno fatto un elemento di degenerazione della vita civile. Sotto questo aspetto la legge sul divorzio ha il solo torto di essere arrivata in ritardo di decenni rispetto ad altri paesi europei e all’America.


E’ un ritardo connaturato alle condizioni particolarmente difficili del divenire storico della nostra nazione specialmente nel campo dei rapporti tra Stato e Chiesa e di quanto sopravvive (e non è purtroppo poco) di spirito teocratico e confessionale. In secondo luogo votare “NO” è il modo per chiudere la risorta polemica sul divorzio che diversamente riesploderebbe dopo il 12 maggio, in forma più accesa che mai mettendo a rischio il quadro democratico entro il quale si può ancora affrontare e risolvere il problema che si colloca sotto la sempre più impellente minaccia dell’insicurezza del lavoro e della vita per milioni di lavoratori. In terzo luogo la vittoria del “NO” farà ritrovare al paese il suo naturale compito in Europa e nel mondo, consentendogli di tenere il passo con tutto quanto è in movimento lungo la via faticosa della riconquista e del consolidamento dei valori civili e sociali della libertà e dell’uguaglianza.

Sotto quest’ultimo aspetto il fatto che la retroguardia clericale sia riuscita ad imporre un problema dell’Ottocento in ogni altra parte del mondo risolto da un secolo in qua, è tanto più mortificante in quanto coincide con il crollo in Portogallo di una dittatura clerico-fascista durata per quasi mezzo secolo senza risolvere nessuno dei problemi di quel paese e coincide con le elezioni presidenziali francesi che dimostrano come anche l’autoritarismo di De Gaulle abbia lasciato aperti i più grossi problemi dell’assestamento in- terno e internazionale della Francia attorno ai quali sinistra e destra si affrontano in questi giorni con il compagno Mitterrand in un durissimo combattimento che riconduce il problema politico francese al suo punto di partenza.

Si ha così la prova provata, una prova che la nazione italiana ha vissuto sulla propria pelle per un ventennio della incapacità delle dittature di affrontare e risolvere i problemi della vita moderna. Ma c’è un’altra impellente ragione per votare “NO” ed è una ragione di ordine squisitamente politico e che investe in pieno la responsabilità preminente della Democrazia Cristiana e del suo gruppo dirigente.

E’ rimasta senza una risposta esauriente la domanda rivolta alla Diccì di dire le ragioni per cui, subendo il ricatto di Comitati Civici, essa si è imbarcata nell’avventura del referendum pur sapendo che il “SI’” all’abrogazione della legge sul divorzio non è perla destra clericale ed a maggior ragione non è per i fascisti, fine a sé medesima ma un mezzo per una rivincita sullo stato democratico e sul Parlamento repubblicano.

Ma negli ultimi giorni i fatti hanno squarciato il velo dell’omertà e delle ipocrisie che hanno contrassegnato le successive fasi del referendum, ponendo di fronte a una scelta quant’altre mai chiare tra un “NO” rispettoso dei valori democratici e cristiani anche per quanto concerne la sacralità del vincolo matrimo- niale ed un “SI’” la cui unica possibilità di successo dipende dal voto fascista e lo condiziona. Questo è il terreno sul quale la D.C. È stata imprudentemente condotta.

Questa è la scelta del 12 maggio. In essa i laici ritrovano i loro naturali alleati nei cattolici del “NO” o dell’astensione che sono in campo culturale, in quello religioso, in quello sindacale, tra la gioventù continuatori delle minoranze cattoliche che osarono nel corso dell’ultimo secolo dire “no” al potere temporale dei papi, “no” al crispismo”, “no” alla novantottesca dittatura delle sciabole, “no” al connu-bio tra chi tendeva a fare dello Stato il braccio secolare della Chiesa o tendeva a fare della Chiesa “l’instrumentum regni” dell’autoritarismo statale, “no” in definitiva al fascismo anche e soprattutto nella sua espressione di clerico-fascismo.

Tale rimane ancora la scelta di oggi. Rifiutarne i termini, oppure ingarbugliarli negando che siano in atto o in prospettiva svolte di qualsiasi genere o ipotizzando un dodici maggio in ogni caso indolore, è un errore quando non è un inganno.

Un errore o un inganno che quando dovesse prevalere renderebbe più difficili tutti i problemi nazionali, quelli politici, quelli economico-sociali, quelli inerenti al rapporto dello Stato con la Chiesa. A cominciare dalla revisione del Concordato, se ancora di regime concordatario e non di separazione pura e semplice si potrà ancora parlare dopo il 12 maggio. In tali condizioni votare “NO” assume il carattere di un dovere civico e di un impegno morale oltre che politico. Votare “NO” è solo mezzo col quale le elettrici e gli elettori possono ricollocare i rapporti tra laici e cattolici e tra socialisti e democristiani sul piano di una corretta dialettica politica tagliando netta la via a ogni velleità di ritorni autoritari e ristabilendo un fattore di fiducia tra le forze che hanno nella Resistenza la loro matrice e nel progresso civile e sociale il loro terreno di confluenza e di azione.

* Sintesi del discorso pronunciato da Pietro Nenni a Milano il 9 maggio 1974. Il testo, proveniente dall’archivio della nostra Fondazione, fu scritto direttamente dal leader e inviato all’Avanti! Per la pubblicazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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