Lombardi e l’Ungheria: “Socialismo è libertà”

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Il 4 novembre del 1956 l’Armata Rossa arriva alle porte di Budapest e schiaccia quella che alla storia è passata come “la rivolta ungherese”. Le vicende avevano già imboccato una deriva drammatica quando Riccardo Lombardi il 26 ottobre del 1956 prese la parola alla Camera dei Deputati per pronunciare un breve e appassionato intervento. Il concetto essenziale era semplice: non c’è socialismo senza democrazia e libertà. Lo riproponiamo per ricordare quegli avvenimenti a sessant’anni di distanza.

Di Riccardo Lombardi*

Il giudizio che il partito socialista italiano deve esprimere in un momento in cui il movimento operaio è richiamato energicamente a precise assunzioni di responsabilità, non può limitarsi al compianto per il sangue versato – sangue inutilmente versato – che poteva e doveva essere risparmiato, se un gruppo dirigente – sul quale condivido il giudizio che oggi l’organo comunista ungherese assai severamente esprimeva – avesse saputo non distaccarsi dalle masse e interpretare la volontà di libertà e di democrazia, evidente a chiunque avesse una pur minima conoscenza della condizioni in cui si svolge la vita e l’edificazione socialista in Ungheria.Ma dobbiamo dire qualche cosa di più: la nostra aperta solidarietà coi lavoratori ungheresi i quali, qualunque siano i tentativi, ovvii del resto, di forze estranee per inserirsi e deformare e sfruttare il movimento, non sono sorti in armi per richiamare (come forse da certe parti si pensa, o si spera, o si augura) il regime Horthy o dei colonnelli, ma per garantire la via del socialismo, la via della libertà e della democrazia.

Per questo noi condanniamo con eguale fermezza l’intervento delle truppe sovietiche, intervento di cui non ci interessa la validità giuridica o la legittimità derivante dall’appello fatto ad esse dal governo ungherese: intervento inammissibile sempre, che noi abbiamo sempre condannato in altre occasioni e che condanniamo in questa occasione, anche perché un intervento di questa natura è capace o è suscettibile, e mi auguro che così non avvenga, di deformare quello che è il corso naturale che noi tutti auguriamo agli ungheresi: lo svolgimento libero, anche se purtroppo sanguinoso, delle istituzioni socialiste in modo che questa tragedia sia promotrice non soltanto di odi, di rimpianti e di compianti, ma suscitatrice di un nuovo corso, di un nuovo regime di libertà e di democrazia per il popolo ungherese, per tutti i popoli che hanno faticosamente affrontato la loro ricostruzione dopo la lunga oppressione e dopo la guerra.

Da questo punto di vista, onorevoli colleghi, penso che vi sia un energico richiamo di coscienza a tutti noi che è convalidato, collaudato dagli avvenimenti ai quali, non dico con stupore, ma con dolore assistiamo, ai quali anzi partecipiamo oggi. Quello che i lavoratori ungheresi nella loro eroica lotta richiamano a tutti noi e per cui sentiamo di avere verso i lavoratori ungheresi e verso i lavoratori polacchi un debito grave, un debito verso tutto il movimento operaio (richiamo energico e tanto più solenne e tanto più ammonitore, in quanto consacrato dal sacrificio della vita) è il principio, che non deve essere mai abbandonato, che il socialismo non può consistere soltanto nella socializzazione dei mezzi di produzione, ma anche nella socializzazione dell’amministrazione dello Stato: cioè che non vi è socialismo senza democrazia e libertà.

* Discorso alla Camera dei deputati pronunciato il 26 ottobre 1956. In “Lombardi discorsi parlamentari”, Camera dei Deputati, 2001

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