E da oggi siamo un pò più Civili

image-di ANTONIO MAGLIE-

La tentazione di commentare il voto della Camera sulle Unioni Civili parafrasando Neil Armstrong al momento della sua prima passeggiata sulla luna (“questo è un piccolo passo per un uomo, un gigantesco balzo per l’umanità”) è molto forte se non fosse che questa legge che ha prodotto tanti mal di pancia ci mette semplicemente al passo con gran parte dell’Europa. Insomma, una cosa normale. Il provvedimento, nato dopo una faticosa mediazione al Senato, è ampiamente imperfetto, monco: si poteva fare di più ma dopo anni di fallimenti, bisogna accontentarsi. Il nostro è un Paese che sul terreno dei diritti civili ha sempre faticato a tenere il ritmo dei tempi. Sia chiaro, non parliamo di una modernità acritica e un po’ retorica, ma di quella evoluzione del sentire collettivo che, come sottolineava Norberto Bobbio, nelle società economicamente e democraticamente mature, produce l’affermazione di nuovi diritti: da quelli dei bambini di cui si parla molto in queste settimane per il caso della piccola Fortuna, abusata e ammazzata a Caivano, alle pari opportunità in una società che alle donne non riconosce gli stessi salari degli uomini, da quelli degli anziani a quelli dei portatori di handicap per i quali persino un attraversamento pedonale risulta essere una pericolosissima avventura (per colpa dei comuni che non abbattono le barriere architettoniche e della inciviltà degli automobilisti che non rispettano i segnali semaforici o parcheggiano sugli scivoli).
L’evoluzione positiva è proprio questa: non tanto la scoperta di un nuovo diritto (quello è quasi connaturato al “contratto sociale”), quanto la sua concreta affermazione, il suo reale godimento. Da questo punto di vista è veramente inutile abbaiare alla luna: le coppie omosessuali hanno gli stessi diritti di tutte le altre coppie e il fatto che sino ad oggi siano stati loro negati non è la conseguenza di antichi, consolidati e immutabili valori ma molto più semplicemente di una discriminazione, voluta e perseguita da diverse generazioni di politici e governanti. Le sbracate reazioni degli estremisti del Family Day, le strizzatine d’occhio di alcuni candidati-sindaci, gli interventi del Vaticano che non è riuscito nemmeno questa volta a tenersi alla larga da inappropriate invasioni di campo (le gerarchie possono tranquillamente esprimere la propria opinione ma non dovrebbero entrare nel merito dei modi in cui si svolge una battaglia parlamentare) hanno il sapore dei cibi che hanno ampiamente superato la data di scadenza: il mondo va avanti e l’Italia non può restare indietro anche se a chiederlo è qualche autorevole vescovo o cardinale la cui opinione vale esattamente quanto quella di qualsiasi altro cittadino e, semmai, probabilmente meno di quella dei connazionali a cui sino a oggi i diritti sono stati negati.
Purtroppo in questo Paese le campagne elettorali si sovrappongono continuamente all’attività parlamentare e di governo, confondendo i piani, trasformando Montecitorio in una piazza per comizi e se la qualità dei comizi è quella illustrata recentemente dal sindaco di Napoli, bisogna essere molto più che preoccupati, addirittura terrorizzati. Per quanto la fiducia sia uno strumento usato spesso e in maniera innaturale, mai come in questo caso la scelta di Matteo Renzi è stata opportuna: perdere altro tempo, tentare altri rinvii, fare ancora “melina” solo per poter esibire qualche benemerenza il prossimo 5 giugno sui sagrati delle chiese, sarebbe stato un insulto alla ragione e a quelle persone che attendono da troppo tempo.

antoniomaglie

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