Europa: contro i demoni, torniamo a Ventotene

-di GIANCARLO MERONI-

L’idea centrale del  Manifesto di Ventotene è che “la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l’esistenza degli stati sovrani, geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes” Eppure lo Stato nazionale è stato il veicolo attraverso il quale si sono affermati e sono stati codificati i diritti e le libertà universali dell’uomo, lo Stato di diritto e l’uguaglianza di fronte alla legge. Il fatto è che questi grandi principi possono diventare operativi se vengono adottati e rispettati universalmente. Lo Stato nazionale incarna, quindi, una contraddizione profonda ad esso connaturata che può essere superata solo se si effettua un trasferimento della sua sovranità ad un’Autorità democratica superiore a carattere internazionale e federale. Senza questo passaggio le conflittualità interne e gli interessi nazionali dei poteri dominanti si scaricano sugli altri Stati concorrenti e sui popoli privi di struttura politica statuale: il colonialismo, l’imperialismo, gli stermini di massa e le distruzioni apocalittiche di due guerre mondiali lo stanno a testimoniare.

            La costituzione di un’Europa unita non è, quindi, solo un’utopia, ma una concreta necessità politica. La sua gestazione fu l’espressione della volontà politica di alcune personalità lungimiranti come Adenauer, De Gasperi, Schuman e della battaglia ostinata ed eroica di Altiero Spinelli, ma anche il risultato della pressione sugli Stati europei del blocco sovietico e di quello che andava coagulandosi intornia agli Stati Uniti e del timore di una nuova guerra, resa ancora più spaventosa dall’avvento delle armi nucleari. Un’Europa unita politicamente era una risposta forte e illuminata ai vecchi nazionalismi e ai nuovi imperialismi, che accantonava odi secolari e metteva al centro del suo progetto i grandi principi di libertà di uguaglianza e di fratellanza, ma anche di progresso e di solidarietà come fondamento della legittimità degli Stati che ad essa intendevano aderire o con cui intendevano stabilire relazioni politiche.

            Questo è il principale motivo di orgoglio dell’essere europei e questo è il motivo per cui la questione dell’emigrazione è il più grave pericolo per l’avvenire dell’Unione. Non si tratta, infatti, solo di come viene affrontata una catastrofe umanitaria ma del ripudio, parziale o totale, da parte di alcuni membri dell’Unione di quello che è uno dei pilastri del sistema democratico su cui si fonda perché tocca un diritto individuale che ne connota l’identità. Siamo cittadini europei perché abbiamo il diritto di muoverci liberamente nell’ambito dei confini comuni di quella che è anche la nostra patria e dunque questo è un requisito che non può essere misconosciuto da chi ne fa parte o, come la Turchia, chiede di esservi ammessa. Il quadro regolamentare e normativo in cui la libera circolazione deve avvenire è di competenza dell’Unione e deve pertanto essere deciso a livello comunitario e non frutto di decisioni unilaterali. Se questo non si verifica si attenta ad un altro pilastro della costituzione europea: il trasferimento di sovranità dagli stati nazionali all’Unione.

            Siamo di fronte ad un snodo centrale del futuro europeo dovuto al verificarsi trasformazioni economiche e sociali e mutamenti culturali globali che mettono in discussione stati sociali, diritti acquisiti e sicurezze. Nuovi soggetti entrano in campo e reclamano, anche con le armi, un cambiamento di classi dominanti che coinvolge gli equilibri politici interni ed esterni di ciascun paese. In questo scenario la struttura politica e istituzionale dell’Unione appare inadeguata e non dotata di poteri e strumenti di governo efficaci: lo abbiamo visto con la crisi economica e finanziaria che ha fatto vacillare anche il terzo pilastro europeo, quello dell’Unione monetaria, sulla quale si era principalmente sostenuto il percorso della costruzione dell’unità.

            Ora è necessario cambiare direzione e tornare al principio cardine del Manifesto di Ventotene: un maggiore trasferimento di sovranità dagli Stati membri all’Unione, anche se ciò comportasse l’istituzionalizzazione di una doppia velocità nel processo di unificazione politica, a cominciare dall’attuazione di politiche comuni soprattutto in tema di emigrazione e libera circolazione, sicurezza interna ed esterna (difesa), politiche dell’occupazione, unione economica e monetaria, politica estera. Ma affinché questo obiettivo possa essere raggiunto è necessaria una democratizzazione più ampia dei processi decisionali e di formazione e legittimazione delle classi dirigenti, a cominciare dall’elezione del Parlamento Europeo su base non nazionale, che determini il trasferimento del confronto politico nel teatro europeo.

             L’Unione è già dotata di organi sovranazionali di garanzia che, grazie a Dio, funzionano: non a caso la sua area meglio presidiata e avanzata è quella della difesa e dello sviluppo dei diritti e delle libertà individuali; e anche di questo possiamo andare orgogliosi: Il nostro più grave punto debole, il vizio di fondo da cui è partita la riflessione degli estensori del Manifesto di Ventotene,  è il permanere di un radicato egoismo nazionale che riemerge nei momenti di crisi in cui è necessario rinunciare a privilegi particolari e immediati per un comune  bene futuro. Allora si risvegliano i vecchi demoni che hanno fomentato gli orrori, che hanno insanguinato e abbrutito l’Europa e da cui abbiamo cercato di liberarci concependo e cercando di mettere in atto l’unità europea. E anche di questo possiamo essere orgogliosi: di avere garantito alla nostra generazione e ai nostri figli e nipoti 70 anni di pace di progresso e di benessere.

            Ora però queste conquiste possono essere messe in pericolo: bisogna uccidere l’Idra dormiente prima che si risvegli e rialzi la testa Dobbiamo tornare a riprendere in mano il grande disegno originale dei Fondatori di estirpare il cancro del nazionalismo e di edificare un’Europa Unita che non derivi la sua legittimità dagli Stati Nazionali, ma che, al contrario, ne costituisca il fondamento. Per questo abbiamo bisogno di istituzioni politiche democratiche che rappresentino i nostri popoli (non soltanto gli Stati membri) e, in loro nome, con il loro consenso e sotto il loro controllo, possano governare. Certo è un percorso arduo, ma non si parte da zero: una grande parte del cammino è stata fatta ed il cantiere è aperto. Tornare in indietro è forse più difficile di andare avanti. Tuttavia non possiamo nasconderci che questo tratto finale è il più duro e complicato per gli interessi in gioco e le profonde suggestioni che il sentimento e l’utopia nazionalista esercitano ancora nell’opinione pubblica e nella cultura delle classi dirigenti.

            Per questo non bisogna avere paura anche di forzare la mano, nonostante i rischi che può comportare e sostenere con negoziati tenaci, ma senza compromessi al ribasso, un processo di avanzamento della democratizzazione delle istituzioni parallelamente al trasferimento di sovranità e di assunzione di poteri da parte degli Stati che lo vogliono e desiderano condividere questo disegno politico. E’ un’utopia? Forse, ma le utopie, se temperate da un sano pragmatismo, possono dare una potente spinta ideale per la realizzazione dei progetti più ambiziosi: questa è anche la storia della civiltà europea. D’altronde proprio la realizzazione di un progetto come quello dell’Unione Europea, così colossale e inimmaginabile, se non nella visione utopica di tre prigionieri politici confinati in un’isola in mezzo al mare, ne è la prova. E questo è il mio più grande motivo di orgoglio.

fondazione nenni

Via Alberto Caroncini 19, Roma www.fondazionenenni.it

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