-di SANDRO ROAZZI-
E’ forse per un geniale scherzo di un dio antico che nel giorno in cui il popolo giallorosso mitizza il suo eroe per eccellenza, Francesco Totti, cade anche il compleanno della città dei sette colli, la cui data di nascita fu posta 2769 anni fa. Oggi non ci sono più re, eroi come Furio Camillo, grandi condottieri come Scipione l’Africano, grandi cronisti come Tito Livio. Sostituiti per l’occasione da aspiranti sindaci per ora non certo in grado di suscitare entusiasmi o repulsioni come recitava la spietata storia politica della Roma antica.
Eppure alcune considerazioni sulla città che forse più di tutte avvicina un’idea di eternità in terra, ci suggeriscono come la lezione della storia possa ancora essere utile per ragionare sul futuro.
A Roma si deve il primo… esperimento di unità della penisola. Nell’ 89 a.C. Viene concessa la cittadinanza romana ai popoli a sud del Po, 40 anni dopo anche a quelli della Gallia cisalpina. Bene come avviene questo atto unitario? Nel segno del diritto, anzi di pari diritti e doveri. Essere cives, cittadini, non per necessità, ma, come ricorda Cicerone affidando le sue parole a Scipione, per garantire questo obiettivo: “…in nessuna costituzione che non assicuri al popolo il più alto potere è possibile trovare la libertà vera…”.
Più tardi nel Rinascimento l’Italia, pur divisa politicamente, si ritroverà unita nel nome dell’arte e della cultura, facendo toccare splendidi vertici al made in Italy di allora.
Eppure la Roma di Romolo e dei suoi successori visse per secoli fra il terrore di essere soffocata dai vicini e dagli invasori e l’ambizione di esercitare una sempre più vasta egemonia. Bene, nel momento più tragico della sua storia, con Annibale alle porte, la città trovò la forza di reagire nell’unità del suo popolo e del Senato, affidando a due consoli che si odiavano a morte come Livio Salinatore e Claudio Nerone le sue sorti. I due, combatterono insieme fermando ed uccidendo Asdrubale sul Metauro impedendogli di portare aiuto ad Annibale per tentare, insieme, di distruggere la mortale nemica.
Ma forse la lezione più attuale resta quella che la splendida piazza di Michelangelo sul Campidoglio cela ai visitatori: un avvallamento che Romolo chiamò asylum, un luogo nel quale schiavi, fuggitivi, donne e uomini in cerca di miglior fortuna potevano stabilirsi e diventare parte di un destino migliore. Perché se il terzo nome di Roma, segreto, è avvolto nel mistero, un quarto è noto: Roma vuol dire anche accoglienza.