-di Antonio Maglie-
Perciò,stamme a ssenti…nun fa”o restivo, suppuorteme vicino-che te ‘mporta? Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie…appartenimmo à morte!” (‘A livella – Antonio De Curtis, in arte Totò”)
La morte, come scriveva Totò, dovrebbe “livellare” tutti. Eppure stride la diversa attenzione prestata dall’opinione pubblica e dalla politica a due eventi tragici accaduti quasi contemporaneamente. Mentre a Milano si tenevano i funerali di Gianroberto Casaleggio, a conclusione di tre giorni massicciamente dedicati a ricostruire il personaggio (come capita in Italia, in un eccesso di ipocrisia santificato da tutti, anche da chi sino al giorno prima lo aveva demonizzato), a Carrara, nelle cave di Colonnata, veniva giù un costone trascinando per trenta metri due operai, seppellendoli alla fine della drammatica corsa. Un altro loro collega rimaneva ferito e penzolante nel vuoto. Dopo lunghe e non semplici ricerche, sotto un mare di massi, sono stati ritrovati i corpi di Federico Benedetti, 46 anni, e di Roberto Ricci Antonioli, 55 anni. In ospedale il collega rimasto ferito, Giuseppe Alberti, 48 anni: guarirà in una trentina di giorni.
Da un punto di vista mediatico, quantomeno per l’allarme sociale che un evento simile sollecita riproponendo la questione largamente irrisolta della sicurezza sui luoghi di lavoro, il fatto avrebbe dovuto destare maggiore impressione. Al contrario, il clamore della vicenda è annegato nell’assuefazione. Eppure il lavoro dovrebbe dare da vivere, non dare da morire. Almeno non nella misura in cui certi fatti si ripetono nel nostro paese. All’inizio del mese, il 3 aprile, un incidente mortale sul lavoro si era verificato a Roma, in un luogo sotto molti aspetti insolito: nel seminterrato di un famoso caffè del centro in un’ altrettanta famosa piazza, San Lorenzo in Lucina. Un’esplosione, forse provocata da un cortocircuito alimentato da un frigorifero, ha avvolto in una nuvola di fumo un dipendente di origine filippina. In ospedale l’uomo è spirato: era rimasto vittima di una irrimediabile intossicazione.
Serpeggia nella nostra società una sorta di rifiuto a prendere atto a livello pubblico che ogni anno, sui luoghi di lavoro si consuma una vera e propria “strage”. Il sostantivo può apparire forte. Ma i numeri non lasciano adito a dubbi: esattamente di quello si tratta. Perché se gli imprenditori hanno ragione quando affermano che il “rischio zero” non esiste, è anche vero che la contabilità che ogni anno, anzi ogni mese, viene certificata dall’Inail dimostra che sarebbe già un grande successo se si riuscisse a parlare di rischio due o rischio tre. Nel 2015 nel nostro paese si sono verificati 1.172 incidenti mortali. Per intenderci: 1.172 persone come noi sono uscite da casa al mattino per andare a guadagnarsi una paga che probabilmente non era nemmeno entusiasmante, senza però far ritorno. C’è una vecchia canzone dei New Trolls intitolata “Miniera” che in momenti come questi non può che ritornare alla memoria: “Io non ritornavo/E non poteva il mio sorriso/ Togliere il pianto dal tuo bel viso”. E’ la storia delle mogli e dei figli di quei 1.172. Nel 2015 sono stati denunciati qualcosa come 632.665 infortuni sul lavoro. Si potrebbe dire: in fondo meno del 2014: 658.514. Però, con più vittime (nel 2014 furono 1.009). L’Inail ci dice che primo bimestre 2016 abbiamo avuto 95 morti, che son sempre meno dei 121 del primo bimestre del 2014 ma sempre troppi per la coscienza civile di un paese.
Ecco perché è assordante il silenzio del governo, anche di fronte a una tragedia come quella di Carrara, unica nella sua ampiezza ma non isolata relativamente alle condizioni di rischio di quel luogo di lavoro (i sindacati sottolineano che lì, nelle cave, ci sono stati sei morti negli ultimi due anni). E lo è ancora di più se rapportato al “rumore” che invece fanno le parole di Papa Francesco che ha recentemente denunciato quella “strage prima davanti ai dipendenti delle ferrovie (“Non pochi operai hanno perso la vita in questo lavoro. Li ricordiamo tutti. E facciamo in modo che questo non accada più”: 19 dicembre 2015) e poi ricevendo gli imprenditori: “Siete chiamati a tutelare la professionalità e al tempo stesso a prestare attenzione alle condizioni in cui il lavoro si attua perché non abbiano a verificarsi incidenti”: 27 febbraio 2016). Ecco perché di fronte a vicende come queste abbiamo tutti l’obbligo di indignarci.