-di ANTONIO MAGLIE-
Dice il ministro delle infrastrutture, Graziano Delrio, vittima di una operazione di dossieraggio (una foto scattata in un comune della Calabria nel corso di una visita ufficiale da lui svolta in qualità di sindaco di Reggio Emilia): “A questo punto voglio sapere se davvero pezzi dello Stato tramano contro altri pezzi dello Stato. Voglio sapere se davvero un Carabiniere ha preparato dei dossier falsi contro un ministro della Repubblica”. Stupisce lo stupore di Delrio: questo è da sempre il Paese delle trame che non si sono fermate a Lucrezia Borgia, peraltro vittima di una cattiva stampa in larga misura immeritata. Questo è il Paese della P2, di Gelli, di un generale (dei carabinieri, appunto) che per bloccare lo slancio riformistico del centro-sinistra alimentò il “tintinnar di sciabole” (copyright di Pietro Nenni) elaborando i progetti di un golpe (il Piano Solo), mentre pochi anni dopo Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese (il Principe Nero, per intenderci), vecchio arnese della Repubblica di Salò, il colpo di Stato l’avviò veramente, mobilitando le guardie forestali (da noi spesso la tragedia si trasforma in farsa), venendo fermato, non si sa bene né da chi né perché, nella notte, poco oltre la soglia del Viminale. Nulla di nuovo sotto il sole italiano, insomma.
Fatta, però, questa premessa, tutti noi ci poniamo la domanda del ministro, quesito che dovrebbe preoccupare, e non poco, le anime sinceramente democratiche. Delrio è persona perbene e il novanta per cento degli italiani se chiamato a scegliere tra lui e Gianluca Gemelli (che in questa storia non è protagonista di contorno) sceglierebbe sicuramente lui. Ma proprio perché perbene, come tanti altri esponenti del Pd, dovrebbe porsi un quesito: come mai intorno a questo governo l’aria si è fatta così irrespirabile? Come mai intorno a un esecutivo che pure aveva alimentato attese e ottimismi tra coloro che fanno riferimento all’area del centro-sinistra, è cresciuto un piccolo “milieu” di intriganti, millantatori, affaristi, saprofiti? L’interrogativo in questa vicenda non ha una funzione accessoria, ma primaria e dovrebbe sollecitare una riflessione decisamente approfondita anche perché l’esorcismo della polemica politica, della battuta salace, del tweet provocatorio e contro-provocatorio, non porta da nessuna parte. Soprattutto non agevola un’opera di disinfestazione che a questo punto appare quanto mai necessaria. E’ anche l’unico modo per valorizzare le energie positive ed eliminare quelle negative, per fare quelle opportune differenziazioni che il gioco al massacro del clima da continua campagna elettorale impedisce di realizzare (gli interventi di Grillo, da questo punto di vista, sono estremamente significativi).
Serrare le fila (come dice di fare Renzi) può essere utile ma non esaustivo perché potrebbe lasciare irrisolto il problema. E il problema è in quelle domande. Perché? Probabilmente bisognerebbe cominciare a riflettere sul concetto di partito, sul concetto di partecipazione, sul concetto di adesione a un progetto politico. Da questo punto di vista, l’idea che ha sino ad ora accompagnato Renzi non sembra in grado di impedire l’inquinamento. Al contrario, crea le condizioni perché l’inquinamento aumenti. La politica senza radicamento territoriale, senza identificazione ideale, senza visione programmatica, senza valori morali si trasforma in una abito che viene usato secondo convenienza: d’inverno quello più pesante, d’estate quello più leggero. E’ in qualche maniera l’anticamera del voto di scambio inteso come principio di orientamento delle scelte elettorali, non come reato. In una società in cui domina l’individualismo, la scelta viene compiuta non sulla basse dell’identificazione in un progetto, ma sul beneficio lucrabile nel breve periodo: il milione di posti di lavoro (che è già indicazione più nobile), meno tasse per tutti e, semmai strizzatine d’occhio per chi le tasse le evade, ottanta euro in busta-paga. Il passaggio successivo è quello che dal principio orientativo porta al reato: ti voto perché mi sblocchi l’appalto o perché mi fai ottenere l’appalto che non dovrei ottenere.
In un contesto come questo, i messaggi finiscono per essere vuoti o superficiali. La stessa parola d’ordine che ha gonfiato le vele di Renzi, la Rottamazione, finisce per essere priva di contenuti. Rottamare significa semplicemente sostituire, a un prezzo conveniente, un oggetto vecchio con uno nuovo, senza badare troppo alla qualità. La “riqualificazione” della politica si è trasformata nel semplice avvicendamento anagrafico come se i giovani fossero sempre vaccinati ai vizi antichi (non si può certo definire anziano, il protagonista dello scandalo che ha portato alle dimissioni di Federica Guidi). La politica italiana avrebbe avuto bisogno, invece, di rinnovamento, parola che chiama in causa contenuti “pesanti” che riguardano l’etica, i valori, i sani comportamenti, la negazione delle scorciatoie, la fedeltà agli impegni assunti, la rappresentanza come servizio e non come privilegio o strumento per costruire una rete di privilegi. Non avevamo semplicemente bisogno di “nuovi politici”; avevamo bisogno di “un’altra politica” che, al momento, non si intravvede all’orizzonte.
In questi anni è diventato di moda citare Zygmunt Bauman e la sua teoria sulla società liquida, cioè su una società in cui domina l’individuo e appassisce il concetto di comunità. A questo punto, però, dovremmo cominciare ad andare un po’ oltre la semplice adesione a questa analisi arguta e dovremmo cominciare a domandarci in che maniera possiamo introdurre elementi di solidità nella liquidità. Se non lo faremo, difficilmente riusciremo a costruirci un futuro accettabile. La deriva che abbiamo imboccato è pericolosa: nel liquido si finisce per annegare. E sopravvive solo chi furbescamente riesce a trovare una trave a cui aggrapparsi, semmai scrollandosi di dosso qualche fastidioso passeggero, più ingenuo compagno di sventura.