-di ANTONIO MAGLIE-
Nei ruoli istituzionali è complicato entrare ma uscirne è ancor più difficile. La conferma è venuta da Ignazio Marino che ha deciso di congedarsi dall’esperienza di sindaco nella maniera peggiore: con un libro che, al di là delle sue proclamate intenzioni, verrà da tutti letto come una resa dei conti interna al Pd renziano. Motivi di risentimento, il chirurgo che ha sbagliato il trapianto più difficile (inserire sé stesso in un corpaccione così complesso e a lui totalmente ignoto come la città di Roma), può vantarne a iosa, a cominciare dalla maniera indegna con cui il suo partito lo ha scaricato e allontanato dal Campidoglio (i notai vanno bene per una compravendita ma sarebbe opportuno non trasformarli in strumenti politici). Però al di là di Mafia Capitale, al di là della Panda rossa “dimenticata” in divieto di sosta, al di là delle discusse note-spese, al di là delle lunghe vacanze americane, lui per la città era diventato come uno di quegli organi trapiantati che finiscono per essere colpiti dal rigetto, ormai totalmente insensibili agli effetti della ciclosporina. Ha intitolato il suo libro “un marziano a Roma”, prendendo a prestito una felice intuizione letteraria di Ennio Flaiano. Ma Flaiano, dall’alto del suo sarcasmo e della sua brillante intelligenza, metteva alla berlina italiani e romani sottolineandone i difetti. Marino, al contrario, rivendica la cittadinanza marziana per costruirsi un “monumento alla memoria” che in pochi, però, nella Capitale sono intenzionati a erigergli.
Passerà alla storia come il sindaco che instancabilmente leggeva “curricula” per poi sbagliare puntualmente la scelta finale; dice di essersi comportato come un chirurgo in sala operatoria ma gli elettori (a cominciare da quelli di sinistra) non lo avevano spedito in Campidoglio per una operazione a cuore aperto ma per rallentare quel degrado che con la precedente amministrazione, quella guidata da Alemanno, aveva raggiunto e superato la velocità del suono; dice di aver risanato economicamente la Capitale, ma chi vive a Roma continua a pagare ancora il conto salatissimo di una antica allegrezza contabile sotto forma di addizionali (le più alte d’Italia); ha spiegato di aver trascorso metà del suo mandato a prendere nota dei malanni della città, materiale utile per un libro ma privo di conseguenze benefiche per la “salute” della Capitale e dei suoi abitanti. Se gli elettori romani avessero voluto uno scrivano o un romanziere o un saggista, si sarebbero probabilmente rivolti altrove e, forse, qualcuno molto bravo lo avrebbero pure trovato; ma, dettaglio forse sfuggito a Marino, cercavano un sindaco: uno che decidesse non che prendesse nota, che sottoponesse corpo e anima della Capitale a uno choc benefico e non si limitasse soltanto a riempire fogli di quaderni a quadretti, che guardasse a questa stupenda e sfortunata città non con la freddezza del medico ma con la passione e la partecipazione di un missionario.
Fa bene Marino a definirsi “marziano” perché la sua conoscenza di Roma, “pianeta a parte” del cosmo italico, è apparsa alla stragrande maggioranza dei cittadini superficiale, limitata ai duecento-trecento metri quadrati che circondano la sua abitazione. E così mentre lui dal Campidoglio esaltava le sorti magnifiche e progressive della “sua” Capitale, chi nella vera Capitale ci viveva faceva i conti con i cumuli di immondizie agli angoli delle strade, con gli allagamenti determinati da qualche millimetro di pioggia in più, con i vagoni della metropolitana sporchi e declassati al rango di carri-bestiame, con un sistema dei trasporti degno più di una città del terzo mondo che di una vera e propria culla della civiltà occidentale, con un traffico ormai ben oltre la soglia dell’impazzimento, con i manti stradali buoni per i rally o per le gare di motocross ma non per la mobilità quotidiana, con le “offese” quotidianamente lanciate contro uno straordinario patrimonio culturale e archeologico che non ha precedenti nel mondo (e forse nemmeno su Marte). In sintesi: con una città priva di una leadership, di un governo. Credibile e, soprattutto, palpabile.