Tasse, “portoghesi” d’Italia

-di ANTONIO MAGLIE-

L’Italia è il paese in cui per Goethe fioriscono i limoni ma per dieci milioni di lavoratori dipendenti e quindici milioni di pensionati, fioriscono le tasse. Quelle locali. Abbiamo, in pratica, dei comuni delle regioni che travestendosi da Robin Hood, hanno deciso di togliere ai poveri per dare ai ricchi. E se nel 2015 gli incassi aggiuntivi ottenuti dalla lotta all’evasione ammontano a oltre quattordici miliardi, in tre anni, cioè dal 2013 al 2015, secondo le stime elaborate dal servizio politiche territoriali della Uil guidato da Guglielmo Loy, trenta milioni di connazionali hanno versato in quelle che genericamente vengono definite le casse dello Stato la bellezza di sette miliardi in più, cioè la metà di quanto è stato richiesto ai contribuenti “infedeli” dopo contorte e accurate indagini (e che nel corso di procedure ancora più contorte in buona parte si perderanno per strada, semmai utilizzando le pieghe non proprio trasparenti della magistratura tributaria svelate da recenti inchieste della magistratura).

Matteo Renzi ha garantito che le tasse stanno calando. Un “miracolo” favorito dal bonus degli ottanta euro che non ha riguardato però trenta milioni di italiani (i venticinque di prima e cinque che operano nel campo del lavoro autonomo) che, al contrario, hanno dovuto pagare un quantitativo superiore di imposte sotto forma di Tasi, Imu, Tari e chi più ne ha più ne metta. Il cittadino è stato chiamato a colmare i “buchi” creati da una allegra gestione della finanza locale (a volte l’allegrezza ha avuto caratteri anche truffaldini e pure in questo caso vi è una narrativa giudiziaria ricca ed esemplificativa) in grandi regioni come Lazio, Sicilia, Campania, Molise,  Piemonte, Puglia, versando in tre anni nelle casse delle regioni e dei comuni sotto forma di addizionali 12,8 e 4,5 miliardi. Ma non è stata tutta colpa della disinvoltura gestionale di governatori e sindaci perché, rispettando il principio dei vasi comunicanti, ciò che si riduceva a livello statale, è stato recuperato a livello locale non essendosi mai i governi preoccupati di tenere sotto controllo la pressione la “pressione fiscale” nel suo complesso, un universo composito fatto non solo di Irpef o di Iva ma di altri balzelli, frutti di una fantasia tributaria sconfinata.

Abbiamo una ricchezza sommersa che le stime europee definiscono per grandezza pari al ventisette per cento del Pil ufficiale ma nessun governo è stato sino ad ora capace di farla emergere e, alla fine, per provvedere ai bisogni collettivi, abbiamo spremuto sempre il famoso limone di goethiana memoria, cioè lavoratori dipendenti e pensionati, gente, cioè che ha buste-paga e cedolini “pubblici” e ai secondi, in pensionati, periodicamente attribuiamo pure la colpa di tutti i mali nazionali, a cominciare dal famoso scontro “generazionale”, come se il nostro universo non fosse mai stato attraversato da Mario Monti (che continua a impartire lezioni parlamentari) e da Elsa Fornero (che si limita alle lezioni televisive).  Nel frattempo sul comune autobus chiamato Italia viaggia una popolosa comitiva di “portoghesi”, gente che affrancata dal fastidio del pagamento del biglietto, può utilizzare gratuitamente i servizi che vengono finanziati dai soliti noti e che vengono progressivamente scarnificati perché ormai quel famoso limone è ormai arrivato alla buccia e non può essere ulteriormente spremuto. E’ l’Italia del sessanta per cento che paga anche per quel quasi quaranta che ritiene doveroso non farlo; ci alziamo al mattino avendo già offerto un caffè al bar a connazionali sconosciuti che non conosceremo mai e non ci ringrazieranno mai. La cancellazione dell’Imu può anche essere cosa buona e giusta ma questo Paese avrebbe bisogno di una vera rivoluzione fiscale non di interventi-spot che fanno guadagnare qualche consenso elettorale ma non cambiano la situazione lasciando invariate le proporzioni tra chi paga e chi scrocca.

antoniomaglie

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