-di ANTONIO MAGLIE-
Lo scontro tra Italia e Germania fa riemergere in qualche misura antichi pregiudizi. I tedeschi nei nostri confronti non hanno mai avuto una considerazione illimitata. Per loro siamo simpatici, anche creativi (a volte fin troppo, soprattutto quando aggiriamo le regole cosa che ci capita spesso) ma non propriamente affidabili. Insomma, dei perdenti di successo che semmai si riscattano su un campo di calcio battendo in una semifinale mondiale gli “invincibili” tedeschi 4-3 e poi ripetendosi trentasei anni più tardi per giunta a Dortmund. Si può ingaggiare un allenatore italiano (Carlo Ancelotti assunto dal Bayern di Monaco) ma non si può dare troppo credito a Matteo Renzi che, va detto, simpaticissimo risulta solo ai parenti più stretti e agli amici più fidati, alcuni dei quali hanno fatto solo di recente e molto celermente voto di fedeltà. E poi come si fa a prendere sul serio un presidente del consiglio che agli incontri ufficiali si presenta con i pantaloni tagliati come se a casa fosse scoppiata una tubatura allagando la camera da letto e, nella fretta, si è infilato i calzini a righe così di moda tra gli amici un po’ “vitelloni” del bar sotto casa? Uno, insomma, che non rispetta le regole diplomatiche nemmeno dal punto di vista dell’abbigliamento, in questo, peraltro, perfettamente imitato dalla signora Merkel che ama fare sfoggio di impresentabili giacche dai colori ultravivaci, roba da cantieri autostradali Anas.
Solo che un derby di pallone può anche essere divertente, uno di politica non solo è noioso ma spesso finisce per esaltare più la pochezza che la grandezza dei contendenti. Contro Renzi, che non si è certo risparmiato, si sono scatenati un po’ tutti: la Merkel, Manfred Weber che in realtà dovrebbe ringraziare il presidente del Consiglio italiano perché gli ha offerto l’occasione di uscire dall’anonimato e di guadagnarsi quel quarto d’ora di notorietà riservato secondo Andy Warhol a tutti gli uomini, e il perennemente accigliato ministro Wolfgang Schaeuble, l’uomo che con maggiore determinazione sta inseguendo l’obiettivo della distruzione dell’Europa (e in parte ci sta pure riuscendo). Un politico dei tempi lontani (Henry Kissinger) diceva che la Germania è troppo piccola per comandare e troppo grande per obbedire. Probabilmente, nella ricerca della dimensione giusta per esercitare l’attività del comando, i tedeschi sono giunti alla conclusione che questa Europa può fare al caso di Berlino solo restringendola un po’ e il modo più semplice per raggiungere l’obiettivo è dato dall’abbandono della “zavorra meridionale”. Ecco, allora che gli “ordini” che arrivano dalla Germania diventano inappuntabili lezioni di etica, le proteste che arrivano dal Sud hanno solo il sapore del ricatto. Il termine, “ricatto”, venne utilizzato in occasione del referendum organizzato dai greci sull’ultimatum (perché di quello si trattava, non di un accordo) deciso nel sottoscala di Berlino, cioè a Bruxelles. E la parola torna ora di moda fiorendo sul labbro sottile e iracondo di Herr Wolfgang. “Non ci faremo ricattare dall’Italia che non vuole pagare la sua parte”, ha detto sottolineando che i soldi alla Turchia servono per evitare che scarichi addosso all’Europa (leggi, Germania) i profughi che come una marea piuttosto alta hanno invaso i dintorni di Ankara. Sembra quasi di tornare a Heidegger (sulle cui inclinazioni xenofobe circolano molte e fondate tesi): “Siamo presi nella morsa. Il nostro popolo, il popolo tedesco, in quanto collocato nel mezzo, subisce la pressione più forte della morsa: esso è il popolo più ricco di vicini e per conseguenza il più esposto, è insieme il popolo metafisico per eccellenza”.
Renzi di colpe ne ha molte (a cominciare dal fatto che quando l’evocazione del ricatto ha riguardato la Grecia, lui flirtava con la Merkel); indubbiamente queste sue ultime rigidità (quantomeno verbali) hanno finalità di tipo elettorale (ma non è che i tedeschi siano al di sopra di questo peccato visto che dopo la storia di Colonia i consensi per la Cdu sono scesi al 34 per cento), ma è evidente che gli atteggiamenti della leadership berlinese è ricca di contraddizioni. Rispetto alla questione dei profughi non si può certo dire che dalla scorsa estate ad oggi la politica della Merkel sia stata propriamente coerente, ondeggiando tra grandi aperture e altrettanto clamorose chiusure; sino a qualche tempo fa nelle stazioni tedesche si offrivano fiori agli immigrati in arrivo, che passavano tra due ali di folla commossa e festante; adesso i neonazisti organizzano spedizioni punitive per far loro altro tipo di festa. Renzi mancherà pure di spirito umanitario, ma è indubbio che la “sensibilità” che Schaeuble mostra nei confronti della Turchia non è la medesima che in tempi diversi ha mostrato nei confronti di Lampedusa ed è fin troppo facile giungere alla conclusione che questa disparità è la conseguenza del fatto che la rotta cha passa attraverso Ankara sfocia quasi direttamente a Berlino mentre quelle che attraversavano le Isole e il Sud dell’Italia si disperdevano in mille rivoli. Insomma, l’interesse europeo è direttamente proporzionale all’interesse della Germania: più è alto il secondo e più deve essere alto il primo, come dire, una visione lievemente proprietaria dell’Europa.
Ma quello che alla fine emerge con chiarezza è la mediocrità delle classi dirigenti nazionali che non viene riscattata nel momento in cui si trasformano in classi dirigenti sovranazionali. Con un’aggravante: al momento a queste leadership non sembrano esserci alternative perché quelle che si presentano come tali in realtà possono solo fare peggio (basta riflettere un attimo sul raduno organizzato da Matteo Salvini a Milano per rendersene conto). La conseguenza è che l’idea di Europa la stanno ammazzando più coloro che dicono di volerla salvare che coloro come Marine Le Pen che dicono di volerla liquidare. Ma Schaeuble dovrebbe riflettere su un dettaglio quando parla di ricatti: il ricatto più insopportabile è quello della forza, fisica, economica o morale che sia. Una suggestione a cui non sempre negli ultimi centocinquanta anni la Germania è riuscita a sfuggire.