di Antonio Maglie
A volte il caso unisce storie diverse seguendo logiche a noi umani sconosciute. La morte di Ettore Scola ha fornito l’occasione a Sky per mandare in onda un film bellissimo, “una giornata particolare”. In pratica il racconto pubblico della sottocultura che era alla base del fascismo, attraverso la narrazione delle due vicende private (si potrebbe anche dire “minime”) di Gabriele (Marcello Mastroianni) e Antonietta (Sophia Loren). Il primo stritolato da un sistema che vuole il “maschio”, nell’ordine “marito, padre e soldato”. Lui, al contrario, è omosessuale, costretto inutilmente, come rivela ad Antonietta, a rinnegare sé stesso per conservare la dignità e il posto di lavoro, ma ugualmente licenziato dalla radio e spedito al confino con l’accusa di essere un sovversivo che si abbandona a comportamenti “depravati”. Antonietta, invece, è vittima di una società in cui la donna è condannata alla solitudine dei propri sentimenti nonostante abiti una casa densamente popolata: sei figli e un marito, Emanuele, esempio di ottuso e fascistissimo machismo, che la utilizza di giorno nel ruolo di sguattera e di notte in quello di strumento procreativo avendo come traguardo il settimo figlio e il riconoscimento economico che ne deriverà.
Il film ha quasi quarant’anni e arrivò sugli schermi ventitré anni dopo la caduta del fascismo. Eppure, sotto forme diverse, conserva in larga parte la sua attualità. Forse anche perché negli stessi giorni, nelle stesse ore infuriava la polemica tra due allenatori di calcio, Maurizio Sarri del Napoli e Roberto Mancini dell’Inter. Palcoscenico una partita di Coppa Italia. Sarri, decisamente nervoso, che si rivolge a Mancini chiamandolo “frocio” e “finocchio”. Il calcio non si nega quasi mai l’opportunità di offrire di sé e del paese l’immagine peggiore. Soprattutto non se la nega quando può abbandonarsi a intemperanze sessiste e omofobe. A marzo dello scorso anno, in occasione della riunione del Consiglio della Lega Dilettanti, il presidente, Felice Belloli, parlando dei contributi a favore del football femminile se ne uscì con queste semplici parole: “Basta, non si può parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche”. Frase finita in un verbale che un paio di mesi dopo fece esplodere violente e giustificatissime polemiche. Il regime non c’è più ma sopravvive una cultura di cui si fa in qualche maniera portavoce un senatore, Vincenzo D’Anna, il quale davanti alle telecamere de La7, commentava così le offese di Sarri: “Molta gente si indigna facilmente. Sono parole che si usano anche in famiglia, tra amici che si rispettano, tra persone che si vogliono bene. C’è un lessico, diciamo, innovativo, che alcune volte non è proprio da Accademia della Crusca, ma che rende sinteticamente il concetto”. In fondo, la stessa capacità di sintesi manifestata da D’Anna e dal suo collega Lucio Barani, durante una seduta del Senato, nei confronti dell’esponente del M5s, Barbara Lezzi, e che costò, all’uno e all’altro, l’espulsione per cinque giorni dai lavori parlamentari per gesti sessisti e osceni.
I commenti di D’Anna prestano il fianco a interrogativi e valutazioni. In primo luogo: sarebbe bello capire quali amici, quali famiglie, quali parenti frequenti il senatore, adusi a sintetizzare alla maniera di Sarri le loro opinioni nei confronti della realtà e delle persone in quel momento prossime. In secondo luogo, l’aspetto “innovativo” del lessico che, in effetti, per modernità ricorda quello dei tempi di Gabriele e Antonietta. La storia non fa salti: sicuramente in avanti, molto più probabile, però, che li faccia all’indietro. E’ evidente che se questa è la cultura che resiste, non possiamo sorprenderci per il fatto che in Italia le forze politiche si stiano dilaniando per l’adozione di una legge sulle “unioni civili” che ci metta semplicemente al passo con il resto dell’Europa avanzata. Né può spiazzarci la tendenza a offrire una risposta, fondata sui pregiudizi e non sulla ragione, a una semplicissima domanda: ma un bambino privo di genitori è più felice in un orfanotrofio o in un ambiente familiare colmo d’amore seppur costituito da una coppia del medesimo sesso? Se guardiamo la questione dal punto di vista della qualità delle relazioni umane e non dell’inaccettabilità dei preconcetti di genere, l’alternativa non si pone nemmeno. Ma in Italia non funziona così. Gabriele, con il suo carico di disperata mitezza, esiste ancora, insieme ad Antonietta alla ricerca di un rifugio felice in un mondo di sentimenti atrofizzati. Alla fine di questo incrocio di storie resta il conforto della risposta data da Mancini al collega che lo chiamava “frocio”: “Orgoglioso di esserlo se tutti gli uomini sono come te”.