Il 25 aprile e la Brigata Ebraica

25-aprilebrigata-ebraica-264-a-ravenna-EDOARDO CRISAFULLI-

Leggo di una polemica, l’ennesima, sul 25 aprile. Una polemica assurda che crea inutili divisioni in seno alla sinistra, offuscando l’immagine di un’importantissima celebrazione che appartiene a tutti gli italiani. Pare che il Presidente della Comunità ebraica romana, Pacifici, abbia chiesto, come condizione per la propria adesione alla manifestazione romana, l’esclusione delle bandiere palestinesi. Così anche l’Associazione ex deportati nei campi nazisti e Alberto Tancredi, portavoce della Brigata Ebraica – una formazione dell’esercito britannico costituita da ebrei volontari, provenienti sia dalla Palestina, sia da vari Paesi impegnati nella lotta contro il nazifascismo. Questa posizione ha un senso: sembra che l’anno scorso a Roma, in occasione del 25 aprile, vi siano stati tafferugli con alcuni militanti filo-palestinesi, scandalizzati alla vista della bandiera della Brigata ebraica: azzurro-bianco-azzurro con la stella di David al centro. Leggo anche – non so se sia vero, mi auguro di no – che da anni i rappresentanti della Brigata ebraica subiscono insulti e aggressioni verbali.

La questione si aggroviglia: Moni Ovadia interviene (“La perversione del senso del 25 aprile”, Il Manifesto, 10.4.2015), pretendendo la presenza al corteo delle bandiere palestinesi in nome di un improbabile legame tra la questione palestinese e la nostra Resistenza. Nutro simpatia e rispetto per Ovadia; il mio universo politico-morale coincide col suo. Anch’io penso che “il nazionalismo devasta il valore integro e universale della persona”. Anch’io, pur amando il Paese in cui sono nato, “non riconosco altra patria che non sia quella dei diseredati e dei giusti di tutta la terra”. Ma credo che, in questo caso, abbia preso un bel granchio. Non entro nell’accesa diatriba fra filo-palestinesi e filo-israeliani che è piuttosto sterile e anche negativa per la buona riuscita della manifestazione romana. Mi soffermo invece sulla supposta “perversione del senso del 25 aprile”.

Assistiamo, da una parte e dall’altra, a quella che gli studiosi chiamamo l’uso pubblico della storia, che talora è una disinvolta manipolazione architettata per finalità politiche o propagandistiche attuali. Troppo spesso guerre, genocidi ecc. sono un’occasione ghiotta per stare la stura a polemiche che hanno poco a che fare con l’evento che si rievoca. Intendiamoci: il 25 aprile, giorno in cui il nazifascismo emise gli ultimi rantoli, si presta egregiamente a rievocazioni ideologiche. Tutta la storia è storia contemporanea. Ma fino a che punto, ed entro quali limiti, possiamo far rivivere lo ‘spirito resistenziale’ incarnato in un fenomeno storico irripetibile? In base a quali parametri si bacchetta questo o quello, dicendogli di aver tradito o travisato il senso autentico del 25 aprile?

Solo un metodo scientifico rigoroso ci pone al riparo da travisamenti e distorsioni. Anche i terroristi delle BR rivendicavano – e ne erano convinti! – una linea di continuità ideologica con la Resistenza. Un pensiero minoritario, il loro, ma ben strutturato, che snaturava la Resistenza: una sorta di miccia che avrebbe dovuto dar fuoco alle polveri di una rivoluzione sociale in stile bolscevico. Una Resistenza immaginaria che sarebbe stata tradita dai partiti della Costituente e in primis dal PCI e dal PSI, partiti ‘revisionisti’, cioè imborghesiti. È per questo che Sandro Pertini volle parlare ai camalli genovesi, dopo i funerali di Guido Rossa, sindacalista CGIL assassinato dalle BR. Pertini aveva saputo che fra gli scaricatori di porto genovesi c’erano alcuni simpatizzanti delle BR. Ebbene, col quel suo modo di fare semplice e brusco, disse: “Non vi parla il Presidente della Repubblica, vi parla il compagno Pertini. Io le brigate rosse le ho conosciute: hanno combattuto con me contro i fascisti, non contro i democratici. Vergogna!” Sono personaggi di questa levatura – i Pertini, i Lama, i Berlinguer, i Craxi – che reagirono all’unica vera perversione del senso del 25 aprile, quella ad opera di sedicenti rivoluzionari che preferivano le pallottole alle schede elettorali. I valori della nostra Costituzione – che sono liberal-democratici e, in parte, anche socialisti – hanno sostituito per sempre la pacifica competizione politica alla violenza squadristica o rivoluzionaria.

Il tentativo brigatista di appropriarsi della Resistenza dovrebbe suggerire estrema cautela nell’uso pubblico della storia. Regola fondamentale: rispettiamo anzitutto la verità storica. Al di là della molteplicità delle interpretazioni, ci sono fatti incontrovertibili: a) la Brigata ebraica ha partecipato alla guerra di liberazione dal nazifascismo combattendo sul fronte italiano, in Romagna, quindi ha il diritto di partecipare – a pieno titolo – alla manifestazione senza incorrere in ingiurie e accuse infondate; b) le potenze alleate combatterono la Germania nazista non perché il disegno hitleriano fosse genericamente imperialistico, una sorta di bonapartismo novecentesco; insorsero piuttosto contro un imperialismo aggressivo la cui conclamata finalità – oltre ad asservire gli slavi, ritenuti sub-umani, bestie da soma buone solo per servire la superiore razza ariana – era quella di cancellare dalla faccia della terra ‘l’immondo’ popolo ebraico: solo un genocidio avrebbe purificato e redento il mondo.

Uno dei miei nonni combattè nella marina britannica. Non era uno storico, né un intellettuale. Ma aveva le idee ben chiare al pari dei suoi coetanei. Un giorno mi disse: “sapevamo quello che succedeva in Germania. In molti ci arruolammo perché ritenevamo insopportabile che quel ras schifoso di Hitler continuasse a perseguitare e massacrare impunemente gli ebrei”. Alla luce del folle e demoniaco progetto hitleriano – ‘la soluzione finale al problema ebraico’; in ebraico: la shoah –, purtroppo avviato su scala inimmaginabile, gli ebrei hanno il diritto-dovere di partecipare alle manifestazioni del 25 aprile non solo come singoli, ma anche in quanto gruppo etnico-culturale o religioso, che dir si voglia. Non capisco chi possa aversene a male: un crimine contro l’umanità offende la coscienza di ogni essere umano.

Sfoggiare un simbolo ebraico, in questa prospettiva storica, è il più efficace sfregio alla memoria di Hitler e dei suoi sgherri infami: sventolare la bandiera con la stella di David – il 25 aprile 2015, in un clima di libertà e di democrazia – ha un solo significato politico: ‘settant’anni fa, nel cuore dell’Europa, hanno cercato di sterminarci, ma abbiamo saputo imbracciare le armi; ci siamo ribellati nel ghetto di Varsavia e, di nuovo, abbiamo combattuto in prima linea sotto il vessillo della Brigata ebraica. Il nazifascismo ha perso; ha vinto la democrazia. E noi, oggi, ci siamo ancora!” Il contributo della Brigata ebraica – 5.000 uomini, che combatterono per un solo mese, tra marzo ed aprile del 1945 – fu più simbolico che militare. Così si espresse Churchill nel 1944: “So benissimo che c’è già un gran numero di ebrei nelle nostre forze armate e in quelle americane; ma mi è sembrato opportuno che una unità formata esclusivamente da soldati di questo popolo, che così indescrivibili tormenti ha dovuto patire per colpa dei nazisti, fosse presente come formazione a sé stante” (www.brigataebraica.org).

La Brigata ebraica, il 25 aprile, deve occupare un posto d’onore in ogni corteo. Questo proprio per evitare che si stacchi “la memoria della persecuzione antisemita dalle altre persecuzioni del nazifascismo e soprattutto dalla Resistenza espressa dalle forze della sinistra” – che è l’auspicio sacrosanto di Ovadia. Credo che tutti – sia i filo-palestinesi che i filo-israeliani (un po’ tutti, a sinistra, oscilliamo a volte in un senso, a volte nell’altro) – possiamo convenire su questo: almeno il 25 aprile un pizzico di filo-semitismo è un obbligo politico e morale per chi ama la libertà e la democrazia nate dalla Resistenza. Ciò che è successo dopo – nel 1948, nel 1967 – e altrove, è un’altra storia. Quella del popolo palestinese è una tragedia immane per la quale dobbiamo mostrare empatia, solidarietà, comprensione. Ma non è una vicenda che siamo costretti a celebrare o a rievocare proprio il 25 aprile, Festa italiana della Liberazione dal nazifascismo.

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