-VITTORIO EMILIANI-
Ogni tanto il discorso sul ruolo e sulla funzione della cooperazione riemerge. Ricordando l’epica impresa della prima cooperativa bracciantile d’Italia e forse d’Europa nel lontano 1884 venuta da Ravenna a bonificare, a rischio di molte vite, il litorale di Ostia e poi di Maccarese, tornano di attualità i discorsi sul valore dello strume nto cooperativistico nel mondo d’oggi. Purtroppo il quadro oggettivo della cooperazione, nata allora su basi autogestionarie, presenta pochi elementi “alternativi” all’impresa capitalistica privata. Le grandi cooperative di produzione e lavoro hanno perso, nella loro corsa alla concentrazione e al gigantismo finalizzata alla competizione sul mercato interno e internazionale, gran parte dei connotati cooperativistici originari. Un tempo i loro dipendenti erano soci della cooperativa medesima. Ora lo sono molto meno e comunque tutto si risolve, credo, nel rito dell’assemblea annuale convocata in un grande palazzo dello sport. Purtroppo le grandi Coop “rosse” (un rosato sempre più sbiadito) sono spesso impelagate nelle vicende degli appalti sospetti o chiaramente manipolati. Frutto solo del gigantismo? Certo una grande lontananza dalla moralità assoluta dei pionieri (i Probi Pionieri di Rochdale, ricordate?), anche se le coop di lavoro furono sempre accusate, anche nel prefascismo, di “succhiare” risorse dallo Stato e dagli Enti locali. Ma che la loro struttura fosse sana, che la loro gestione fosse onesta lo testimoniò nel suo Diario uno degli avversari più risoluti, quell’Italo Balbo che era stato alla testa, con Dino Grandi, delle colonne squadriste che nel luglio 1922 devastarono e incendiarono le Camere del Lavoro e la centrale cooperativa di Nullo Baldini a Ravenna. Personalmente credo da tempo che le big della cooperazione dovrebbero diventare Public Company, perché tali sono nella realtà.
Diverso il caso delle piccole e medie coop che si dedicano a lavori edilizi molto specializzati, magari, con vera perizia, al restauro di palazzi e centri storici.
Ma vi sono altri settori nei quali la cooperazione può essere utilmente riscoperta come strumento autogestionario e solidale, di utilità pubblica: penso alla manutenzione, nelle terre alte ormai abbandonate, di bosco, sottobosco, alvei di torrenti, canali e canalette di scolo, ecc. dopo aver investito seriamente nella “ricostruzione” del territorio collinare e montano. Penso – e qualche esempio esiste – al settore agro-silvo-pastorale, soprattutto lungo la desertificata dorsale appenninica. Ovviamente con controlli molto rigorosi sui risultati finali di questi lavori di pubblica utilità. Penso anche al settore della grande distribuzione e ad una sua più stretta connessione con le cooperative agricole le quali, ad esempio, si sono per tempo dedicate all’agricoltura biologica. Ma per tutto ciò occorre recuperare un’Idea politica di fondo, orgogliosamente “di sinistra”. Come quella che sospinse Nullo Baldini appoggiato da Andrea Costa a tentare l’impresa di Ostia ed altre epiche imprese. Per farne “una colonia socialista sul serio”.