C’è dell’imbarazzo sulla questione dei due marò italiani, sequestrati in India. Imbarazzo che l’Italia preferirebbe non avere, ma che c’è. Questione che, peraltro, non ci sarebbe stata se l’Italia, per esempio, fosse militarmente una potenza nucleare. Ma non lo è. E non lo è perché l’Europa, “nazione” tutta ancora virtuale, ma non ancora reale, non è militarmente una potenza nucleare. Il che vuol dire che non è potenza politica per niente. E’ per questo che si può dire che se l’Europa (di conseguenza l’Italia) fosse una potenza militarmente nucleare, il caso dei due marò italiani non ci sarebbe stato.
Vale a dire che non ci sarebbero stati né il loro arresto né la loro farsesca messa in stato d’accusa addirittura per atti di pirateria, laddove i due militari, invece, operavano (incidente o non incidente mortale in cui incorsero due pescatori: pescatori?) come forze istituzionali legittimate dalle convenzioni internazionali per contrastare proprio l’emergenza (tutta nuova e inedita) della pirateria insorgente su scala internazionale.
Giacché è evidente che il caso è stato messo in atto dall’India sulla base della sua posizione assunta nello scacchiere asiatico (e pertanto globale) in rapporto alla dinamica della sua assunzione di comprimarietà quale potenza nucleare. Per l’India l’incidente dei due marò italiani è un caso che serve alla bisogna. Da far valere (e lo fa valere) sia sul piano dello scacchiere asiatico e sia sul piano internazionale complessivo. Perciò ha un’importanza del tutto relativa il come la vicenda, giuridicamente parlando, andrà a finire: conta il risultato cui essa va a parare. Ma conta soprattutto per ciò che tale vicenda rivela e significa.
Intanto, in primo piano, anche se sembra un fattore trascurabile e mascherato in altro, l’incidente rivela il criterio di gestione della conflittualità (di natura militare), cui l’India ha fatto ricorso: l’assunzione del metodo della guerriglia non convenzionale. Da tenere in serbo affiancata alla panoplia di sistemi d’arma completi. In questo caso, la dimostrazione aperta di una pratica di guerriglia irregolare, non convenzionale, camuffata da questione di contenzioso giudiziario da competenze territoriali. Tutta roba da cortina fumogena buona per irretire quella fantasmatica organizzazione del nulla che va sotto il nome di Onu, dove ogni insensatezza viene data per buona e neutralizzata come se non fosse mai avvenuta. Tanto, il mondo va lo stesso pere conto proprio.
Il casus prae-belli dei marò italiani, presi in ostaggio, stile predoni del deserto in un qualunque Yemen, serve, infatti, all’India per esternare le sue intenzioni di risposta in termini di capacità d’impiego di mezzi legali e illegali insieme, per metà a legittimità formalmente riconosciuta e per metà a prassi terroristica. L’avvertimento è diretto sia alle potenze asiatiche, tra l’altro, anch’esse in via d’assunzione degli stessi criteri operativi, dalla strategia nucleare alla strategia terroristica (Cina, Pakistan, Giappone, Coree, Sud Est molteplici), ma anche a quelle occidentali. Anzi, il fatto che sia un Paese occidentale e specificatamente europeo ad essere preso a bersaglio della prova di forza, vale anche come competizione rivendicativa meritoria nei confronti delle potenze asiatiche: “Vedete come noi trattiamo il nemico storico, l’Occidente?”
Questa è la matrice della questione. Non altra. Operazione a freddo, pensata con lungimiranza. Non è un episodio da contenzioso di diritto marittimo internazionale, a parte il fatto che la nave sotto sequestro è una petroliera: e i mari essendo le vie del petrolio è sui mari che le vene giugulari possono essere recise. La domanda, piuttosto, dovrebbe essere questa: Che sta accedendo in Asia? Che fa in proposito l’Occidente? L’America, per esempio, non si sa. Dell’Europa, invece, si sa che non fa niente, perché è come se non ne sapesse niente. La “vecchia” Europa vede la cosa sotto il profilo illusorio dei patetici diritti astratti da sottomissione: fa della psicologia da “politicamente corretto” e non da comportamenti da politica vera. L’italia, per di più, proprio in questo caso, per ironia della sorte, si trova ad avere per ministro degli Esteri quella succedanea della Madre Teresa di Calcutta, che è l’Emma Bonino, la gandhiana in servizio permanente effettivo in un mondo tutt’altro che gandhiano. E già che ci siamo, anche tutt’altro che francescano, benché gesuiticamente si simuli che lo sia. Ma non lo è. Peraltro sarebbe ancora peggio, se mai veramente lo fosse.
Chi era quel tale che esortava a svegliarsi dai sonni dogmatici dell’ideologia?